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Data: 07/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il reclutamento dissidenti M5S-vendoliani disinnesca lo strappo azzurro in Senato

ROMA Chiamalo, se vuoi, Letta bis. O governo Amato. O «governo della povertà» («Sel ci sta», avverte Nichi Vendola, «soltanto se si assume come stella polare la povertà e non l’Imu che interessa la coppia Letta-Berlusconi»). O governo di scopo, perchè molti, tra transfughi del Pdl e neo-responsabili grillini, un esecutivo che faccia la legge elettorale lo appoggerebbero. O governo istituzionale. O «governo di alte personalità estranee alle appartenenze partitiche», così lo chiamano i grillini vogliosi di «scongelarsi» (come consigliò loro Enrico Letta ai tempi del dialogo mancato con Bersani) e che amerebbero vedere alla guida di questo improbabilissimo esecutivo Renzo Piano, neo-senatore a vita, amico e conterraneo di Grillo. Insomma, in Senato, luogo cruciale dei destini italiani in questa fase, lo si chiama in tanti modi l’esecutivo che verrà o che non verrà, ma tutto questo sfoggio di fantasia terminologico-politica che appassiona gli inquilini di Palazzo Madama parte dall’assunto che in quell’aula il muscolarismo del Cavaliere andrebbe a sbattere contro il muro di gomma della continuità della legislatura sotto altre etichette (anche immaginifiche) di governo.
LA CONTA
Denis Verdini sta rassicurando Berlusconi: «Presidente, il nostro gruppo è compatto». E tutti gli altri falchi, come il sottosegretario Michaela Biancofiore, mostrano grande sicurezza: «Traditori tra di noi? Non ce ne sono. Certe voci di defezioni le mette in giro il Pd perchè vuole tenere in piedi Letta, o chi per lui, e non andare a votare per paura di finire nelle mani di Renzi». «E però», ammette la bionda amazzone di Silvio, che tiene a sua volta sotto monitoraggio la palude senatoriale, «un governo formato da Pd, grillini e Sel è possibile. Ma i cittadini lo detesterebbero, perchè queste manovre di Palazzo non piacciono a nessuno fuori dal Palazzo. E dopo un papocchio così, noi vinceremmo di slancio le prossime elezioni». Chiamalo, appunto, governo papocchio. Ma i numeri, con buona pace della lotta dura senza paura che un giorno sì e uno no il Cavaliere promette di scatenare contro le larghe intese, parlano chiaro: se Sel con i suoi 7 senatori entra in maggioranza con Pd, Scelta civica, ex grillini, un po’ di Gruppo (fritto) Misto più i cinque senatori a vita, i voti arrivano a quota 154 e per arrivare a 161, che è il quorum necessario a governare, ne mancano sette.
I MAGNIFICI SETTE

Ma i voti mancanti in realtà già ci sono, e non serve che provengano da neo-responsabili d’ambito berlusconiano, anche perchè la falchessa Biancofiore insiste ancora nell’assicurare la totale assenza di «fedifraghi» e dà questa spiegazione della sua certezza: «Tutti hanno visto che fine hanno fatto i traditori come Fini, Bocchino, Granata, Destro, Gava: reietti e non rieletti». Ma a parte il fatto che lo scilipotismo è impossibile da escludere (e proprio Scilipoti si riconferma un governativo «a prescindere», come direbbe Totò), i voltagabbana azzurri sarebbero superflui in questo caso in quanto si arriva facilmente a sette calcolando Luis Orellana e gli altri sei grillini stanchi, come dicono loro, di stare nella «caserma». Tra questi Alessandra Bencini, la senatrice che ancora ribadisce «io a suo tempo un governo Bersani lo avrei votato», o Lorenzo Battista il quale ha già benedetto un «governo di scopo»: «Dovrebbe fare poche cose e per il Movimento non si tratterebbe di fare la stampella a nessuno, ma di essere una forza politica propositiva». E’ così fluida la situazione nei 5 Stelle che perfino il presidente del Senato, Piero Grasso, ieri se ne n’è occupato così: «La maturazione del Movimento 5 stelle può portare a una maggiore consapevolezza e quindi a un’evoluzione». A scongelare l’iceberg ci pensa proprio Orellana, molto stimato da tutti i senatori grillini («Molti sono con me») nonostante Beppe lo abbia bollato come «uno Scilipoti». «In caso di rottura tra Pdl e Pd», sostiene Orellana, «i nostri voti saranno decisivi. E un dialogo con gli altri partiti diventa necessario». Parole inequivocabili. «I compagni grillini», già li cominciano a chiamare i senatori democrat nelle conversazioni telefoniche di questo fine settimana. Mentre un loro collega a Palazzo Madama, settore Scelta civica, spiega: «La maggioranza, mettendo insieme i senatori a vita, la decina di grillini ribelli, il Gruppo Misto e e il voto tecnico che potrebbe dare Sel pur di non tornare alle urne, esiste al cento per cento. Senza contare i senatori che potrebbero uscire dal Pdl». Se non altro per sensibilità al verbo del presidente Napolitano, il quale vuole stabilità. E riecco dunque, per quel che servono, i «traditori» azzurri. Sui quali, o meglio sul concetto di tradimento, una colomba come Fabrizio Cicchitto - che sa maneggiare certi problemi non di superficie - spiega: «Guai a introdurre in un dibattito serio la nozione del traditore. Il partito unito non è una sorta di caserma agli ordini di qualche caporale. Ma può essere attraversato da riflessioni politiche anche diverse». Proprio quelle che, sia di marca grillina sia di eventuale provenienza Pdl, rendono quasi impossibile la crisi di governo in Senato.

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