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Data: 08/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sconti sui contributi e a chi investe, ecco le ipotesi in campo

ROMA Fanno di conto in Confindustria e nelle sedi sindacali: «Servirebbero quattro miliardi, magari anche tre». Ma poi, con sano realismo, aggiungono: «Il governo riuscirà a malapena a spuntarne uno, due. Forse. Comunque, troppo poco». Differenza non da poco se in ballo ci sono anche le risorse per cancellare l’Imu ed evitare l’aumento dell’Iva. Ridurre il cuneo fiscale (la differenza tra onere del costo del lavoro e il reddito effettivo del lavoratore) è innanzi tutto un problema di soldi. Come sempre. Il leader degli industriali, Giorgio Squinzi, è stato chiarissimo: «I costi vanno abbattuti di dieci punti». Il ministro del Welfare, Enrico Giovannini, promette un primo intervento già dal mese prossimo. Poi però parla di «ottica pluriennale». Chiaro, è una conferma delle difficoltà di cassa. E pure di strumenti.
Nel documento unitario vergato qualche giorno fa, Squinzi e i leader sindacali hanno sottolineato che quello del fisco è un «ruolo chiave» per la rinascita del Paese. Ed il cuneo è letteralmente questione di punta per «creare lavoro e benessere». Per stringere la forbice tra differenza su quanto versano le imprese e il valore delle buste paga, servirebbe, ovviamente, ridurre il prelievo fiscale su lavoro e imprese; poi eliminare la componente lavoro dalle base imponibile Irap; infine, rendere strutturali le attuali misure di detassazione e decontribuzione per l’incremento della produttività. Queste, a giudizio di industriali e sindacalisti, sono le leve che il governo dovrebbe manovrare.
LE PROPOSTE
Enrico Letta al G20 ha ribadito che il taglio del cuneo fiscale «è essenziale». Ma probabilmente non sa ancora da dove cominciare. Dalla riduzione di contributi sociali per le aziende che investono? E’ una ipotesi. Il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, preferirebbe togliere la componente lavoro dalla base dell’Irap per favorire così le imprese che assumono o stabilizzano il lavoro. Maurizio Sacconi, ministro del Welfare nell’ultimo governo Berlusconi, punta invece sull’Inail. In particolare, sui premi che potrebbero essere ridotti a favore di quelle aziende che non hanno denunciato infortuni. «E - aggiunge - potremmo riprogrammare il Fondo sociale europeo per concentrarlo sulla copertura del costo indiretto del lavoro». «Intanto - dice Giuliano Cazzola di Scelta Civica e già sindacalista di lungo corso - bisognerebbe usare meglio quello che già c’è, aumentando le quote di retribuzioni con tassazione agevolata, come quelle dei contratti legati alla produttività. Ovvio, in questo caso la palla passerebbe alle aziende e alle parti sociali che dovrebbero spingere in questa direzione». Ipotesi, soltanto ipotesi per ora. Mentre è una realtà che il peso di tasse e contributi sul costo del lavoro italiano oggi è al 53,8%. Ben superiore a quello dei maggiori partner europei. Tanto per fare un esempio, il ”total fiscal rate” (tasse e contributi) sopportato da una nostra impresa è di 20 punti superiore a quello tedesco.
Non sarà facile individuare una strada virtuosa che tenga conto delle esigenze di cassa e di quelle del rilancio dell’economia e dell’occupazione. Soprattutto quando servono soldi per eliminare l’Imu e congelare l’Iva. Se ne riparlerà in concreto a metà ottobre con l’esame della legge di stabilità, hanno ribadito il ministro Giovannini e quello dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. «Ma attenzione - avverte il titolare del Welfare - una crisi di governo porterebbe all’instabilità finanziaria e con essa ci sarebbero meno soldi anche per il cuneo fiscale».

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