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Data: 09/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Aziende e immobili, così il Tesoro accelera sulle cessioni

ROMA Non meno di 26 miliardi di euro. A tanto ammonterebbe l’incasso del Tesoro se decidesse di vendere in un colpo solo l’intero pacchetto posseduto in Eni ed Enel, ai prezzi attuali di Borsa. Un conto destinato anche a salire se si considera il sostanzioso premio di maggioranza che dovrebbe essere riconosciuto per il passaggio del controllo di due colossi, rispettivamente del petrolio e dell’energia, di questo calibro. Naturalmente si tratta solo di un esercizio teorico visto che il governo, si sa, non intende rinunciare in toto ai suoi gioielli, di cui controlla direttamente e tramite Cassa depositi e prestiti circa il 30%del capitale. Ma serve a dare un’idea del valore degli asset del Tesoro, nonchè settori nevralgici come l’energia e la difesa (se nel paniere di partecipazioni vendibili si aggiunge anche Finmeccanica), che potrebbe avere il piano di dismissioni destinato a partire a settembre e sul quale il governo Letta è al lavoro. Un piano anticipato al Messaggero dallo stesso premier Enrico Letta e nel quale dovrebbe avere un ruolo cruciale la vendita di un pezzo del patrimonio immobiliare pubblico. Anzi si potrebbe partire proprio da lì. Quanto ad Enel ed Eni, invece, si può parlare al massimo di pacchetti di minoranza da mettere sul mercato. Ma anche in questo caso sulla valutazione in questione non potrebbe non pesare il valore del flusso dei sostanziosi dividendi finora incassati dal Tesoro, nonostante la crisi.
I NUMERI

Se però l’obiettivo fosse quello di fare cassa per limare il debito pubblico sarebbe molto più ampio il portafoglio delle società controllate dal Tesoro nel quale pescare per far tornare un pò i conti. Se ne contano una trentina in tutto (incluse le tre quotate). Tanto che l’istituto Bruno Leoni è arrivato a stimare un valore del patrimonio disponibile pari ad almeno 100 miliardi di euro. Senza considerare il grande patrimonio immobiliare che sulla carta vale complessivamente oltre 300 miliardi di euro (la Sgr del Tesoro, che conta su una prima dote di 350 beni per 1,2 miliardi da conferire al Demanio, è già al lavoro da settimane).
Nel perimetro delle partecipazioni vendibili ci sono poi le Fs (che varrebbero circa 36 miliardi) e Poste Italiane (3,4 miliardi), tra le più appetibili, a giudicare dal successo delle ultime emissioni obbligazionarie e dai collocamenti realizzati da altre aziende postali in Europa. Quanto alla Rai (secondo una valutazione realizzata da Mediobanca) frutterebbe circa 2 miliardi. Fin qui solo le ipotesi. Nel concreto, però, si è parlato a lungo di una possibile dismissione di Sace, società partecipata al 100% dal Tesoro e attiva nel settore delle assicurazioni sul credito, che ha un patrimonio di 6,2 miliardi di euro. Ma anche la vendita di Fintecna (valore netto di 2,3 miliardi di euro) è finita più volte sul tavolo delle ipotesi con il suo business diversificato, che va da Fincantieri (la cui privatizzazione appare però al momento improbabile) a Fintecna immobiliare. Ancora l’Istituto Leoni ha calcolato in 30 miliardi il valore della galassia delle aziende ex-municipalizzate, la cui quota di maggioranza è soprattutto in mano agli enti locali. Si tratta di un universo ampio e in continua espansione (circa 6 mila società) che dà lavoro a 80 mila persone per una spesa complessiva di 2,6 miliardi di euro. La proliferazione delle società a partecipazione locale è stata oggetto, nel 2010, di una indagine della Corte dei Conti. Una indagine che si è conclusa auspicando una cura dimagrante (anche a base di dismissioni).

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