ROMA «Avete visto? Volete ancora delle prove? Il Pd ha deciso di farmi fuori, di dare seguito a un vero omicidio politico, il mio, con l’accelerazione che hanno impresso nella discussione in Giunta. E’ quello che avevo sempre pensato e sospettato: questo è solo un plotone d’esecuzione. Ora basta». Silvio Berlusconi è furioso, certo, ma in fondo in fondo «me l’aspettavo», dice a denti stretti. Di fronte all’accelerazione del Pd, che chiede di votare insieme la relazione di Augello e le pregiudiziali di costituzionalità, come pure di fronte a qualche errore tattico che lo stesso Augello potrebbe aver commesso («Perché - si chiedevano dei deputati del Pdl – non ha separato la relazione dalle pregiudiziali, magari facendole presentare a qualcun altro?»), «non ci sono alternative. Dobbiamo rompere».
LA STRATEGIA
Probabile che si cominci con il ritiro della delegazione dei ministri dal governo. Lo dice a chiare lettere l’intero Pdl. Un crescendo rossiniano che finisce con le dichiarazioni in simultanea dei capigruppo di Senato e Camera, Schifani e Brunetta (i quali, ieri sera, hanno sentito il Cav che li ha esortati a «tenersi pronti a tutto»): «Se ci sarà il voto della Giunta non c’è più la maggioranza» è il drammatico aut-aut.
La decisione dovrebbe essere formalizzata mercoledì, quando Berlusconi tornerà a Roma per partecipare all’ufficio di presidenza del Pdl, convocato ad horas per decisioni che già si annunciano «gravi e irrevocabil». La crisi di governo, appunto, perché «con chi ti vuol uccidere non puoi governare». Eppure, fino a ieri, c’era chi, come le colombe (da Alfano ai ministri, da Gianni Letta a Confalonieri), ha creduto alla possibilità di una trattativa con Pd e Colle. Era stato addirittura «siglato un patto», assicura un gruppo di governisti. Peccato che sia stato stracciato in un pomeriggio. «Hanno vinto i falchi del Pd che vogliono sbarrare la strada a Renzi e i nostri che vogliono il voto anticipato», sospirano le colombe ministeriali, oggi in massa a Frascati, ospiti di Quagliariello. Eccola allora l’ira del Cav: «Napolitano mi ha solo preso in giro, del Pd non ci si può fidare, le toghe rosse mi vogliono morto, oltre che in galera, per farmi fare la fine di Craxi, costringermi alla fuga ignominiosa all’estero e alla gogna pubblica, ma questa soddisfazione non gliela do. Sono un combattente e combatto».
E pensare che ieri, proprio per cercare di dare spazio alla trattativa, il Cav aveva rinunciato persino ad andare dai suoi amici del cuore, alla festa sanremese di “Contorcorrente” della coppia Santanché-Sallusti. E pensare che il videmessaggio che annunciava la rinascita di Forza Italia è fermo lì, da giorni, in un cassetto, ma presto sarà rinfrescato e ritirato fuori per la messa in onda definitiva. Tutto inutile. «Mi vogliono morto - ripete il Cav - e si alleano coi grillini pur di ottenerlo». Ieri, Berlusconi ha riunito, per l’ennesima volta, a Villa San Martino, prima i figli (da Marina a Barbara, che ormai gli dicono solo: «Prima vieni tu, papà, la tua libertà, poi le aziende») e i vertici Mediaset (da Confalonieri a Bruno Ermolli). Poi, nuova full immersion con gli avvocati. Infatti, altre nubi s’addensano sul capo del Cav a partire dalla Corte d’Appello di Milano che ricalcolerà, il prossimo 15 ottobre, l’interdizione dai pubblici uffici. Nel frattempo, «Altre procure sono già in azione – ex deputati di lungo corso come il campano Mario Pepe – «a partire da Napoli che indaga sulla compravendita dei deputati e che lavora per un mandato di cattura contro di lui. Silvio faccia qualcosa». Il Cav sta per farla. Il guaio è che questa cosa si chiama crisi di governo. E il primo passo dovrebbe essere quello che porta alle dimissioni dei ministri Pdl.
Bondi: asse Pd-M5S per cacciare Silvio puntano a una nuova maggioranza
ROMA Sandro Bondi analizza negativamente il profilarsi di accordi tra Pd e grillini nella Giunta del Senato che deve decidere sulla decadenza di Berlusconi e ammonisce: «Se votano insieme è la prova che vogliono sbarazzarsi del presidente e che puntano velleitariamente a fare un governo assieme».
Senatore, si va delineando un asse tra Pd e 5Stelle: fine delle grandi intese?
«Se fosse così sarebbe evidente il progetto di liberarsi del presidente Berlusconi e l’obiettivo per quanto velleitario e irresponsabile di dare vita ad una nuova maggioranza di governo. Nell’incontro di domani tra i parlamentari pdl e Berlusconi valuteremo anche questo».
Ma qual è il senso del ricorso alla Corte di Strasburgo: fare melina?
«La questione già sarebbe stata risolta se il Pd avesse accettato una richiesta minima e sacrosanta come quella di demandare alla Corte Costituzionale una fedele interpretazione della legge Severino, visto che esistono pareri discordi fra gli stessi giuristi. E’ davvero incredibile il rifiuto del Pd di accettare perfino questa richiesta, che sarebbe stata immediatamente accettata se la sinistra fosse in buona fede e non volesse invece eliminare Berlusconi dalla vita politica italiana approfittando di una sentenza ingiusta».
Perché è così difficile, anzi impossibile, per il Pdl distinguere tra il piano giudiziario e quello politico quando si parla di Berlusconi?
«Semplicemente perché non sono due sfere distinte. Nella figura del Presidente Berlusconi si mescolano, inestricabilmente come ha ben scritto il professor Orsina, sia la questione della rappresentanza del centro-destra che il tema fondamentale dell’equilibrio dei poteri in una democrazia sana. Il Pd dovrebbe misurarsi con questi problemi, ma non ne ha neppure la consapevolezza».
Anche recentemente il capo dello Stato è tornato a ricordare a Berlusconi il suo impegno ad appoggiare il governo. Forse si è spinto così troppo oltre? E magari anche lei, come l’onorevole Santanché, si è pentito di averlo rivotato al Quirinale?
«Sono stato il primo a dire che, nella drammatica situazione determinatasi dopo le conseguenze dei franchi tiratori del Pd, restava solo la rielezione di Napolitano per evitare il peggio. Napolitano conosce più di qualunque altro il senso di responsabilità e dello Stato che Berlusconi ha dimostrato in questi anni: prima appoggiando la nascita del governo Monti benché avesse ancora una maggioranza in Parlamento; poi battendosi per la nascita del governo Letta nonostante le tergiversazioni del Pd di Bersani e infine determinando la rielezione di Napolitano. Berlusconi ha mille ragioni per attendersi un riconoscimento e un gesto di responsabilità anche da parte degli altri, del Pd innanzitutto e dello stesso Napolitano. Finora Berlusconi è stato l’unico leader vero in questo deserto e in questo vuoto assoluto della politica italiana».
Senatore, al dunque davvero lei pensa che il Pd possa accedere alla vostra richiesta di respingere la decadenza di Berlusconi da parlamentare? E’ realistico?
«Il buon senso mi spinge a sperare, ma la ragione mi ricorda che il giustizialismo pervade ormai interamente la cultura della sinistra italiana. Una sinistra che, per la propria debolezza intellettuale, politica e morale, è di fatto prigioniera della propria cultura, anzi delle proprie passioni e degli istinti più irrazionali coltivati per decenni. Da tempo non c’è più una vera sinistra democratica in Italia. E lo dico a ragion veduta. E’ proprio qui che è atteso alla sua prova più difficile anche la leadership di Renzi. Vedremo se sarà capace di opporsi alla cultura dell’odio e dell’estremismo, anche se non credo che ne abbia il coraggio e gli strumenti culturali».
Lei più volte lei ha denunciato i rischi, gravi, per una estromissione forzata di Berlusconi. Ma non è altrettanto rischioso far cadere il governo e precipitare il Paese in un vortice di incertezza?
«Noi non vogliamo la crisi. Noi riteniamo che l’Italia abbia bisogno di stabilità, anche se non demonizziamo le elezioni se il governo non dovesse essere all’altezza delle sfide che abbiamo dinnanzi. Come è evidente, se il Pd mettesse da parte l’intenzione di sbarazzarsi di un avversario politico, che oltretutto oggi è anche un alleato di governo, senza neppure prendere in considerazione la possibilità di affidare alla Corte una corretta interpretazione della legge Severino, è chiaro di chi sarebbe la responsabilità di una crisi. Gli italiani non avrebbero alcun dubbio».