ROMA Silvio Berlusconi convoca per mercoledì prossimo l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari. La riunione si terrà alla Camera alle 13 e potrebbe essere quella l’occasione in cui far saltare il banco del governo sul nodo della decadenza del Cavaliere da senatore. La situazione politica torna infatti molto tesa, tanto che ieri sera Renato Schifani, capogruppo a palazzo Madama del Pdl, da sempre considerato una colomba, avverte l’alleato. «Dalla giunta prevalgono segnali di muro contro muro: un inaccettabile atteggiamento di Pd e M5S che intendono votare domani (oggi, ndr) contro le pregiudiziali formulate dal relatore. Se dovesse succedere questo non credo si potrebbe più parlare di maggioranza a sostegno del governo», minaccia. «Se si vota, addio governo», aggiunge Schifani. «Lo stato di diritto viene prima di qualsiasi cosa, mi pare che su questo il Pd abbia le idee assolutamente chiare e sia assolutamente unito», ribatte in serata Dario Franceschini. Dunque mercoledì il Cavaliere verrà a Roma. Potrebbe essere anche l’occasione per sdoganare il videomessaggio registrato la scorsa settimana per denunciare dalle sue tv di essere vittima dell’attacco pregiudiziale della magistratura “rossa” che, con la complicità del Pd, lo sta mettendo fuori dalla politica per via giudiziaria non essendo riuscita a batterlo nelle urne. Fino ad allora però il Cavaliere non parlerà. Mentre tutto il Pdl torna a minacciare di far cadere il governo se non verrà trovato il modo di salvare il suo leader, Berlusconi ha seguito i lavori della Giunta da villa San Martino con i figli e gli avvocati. Era atteso alla 18 a Sanremo per il festival organizzato da Il Giornale ma non si è presentato. Non è ancora il momento di trarre conclusioni. L’unica buona notizia della giornata per il Cavaliere è il nuovo balzo in Borsa del titolo Mediaset, che ieri ha chiuso con un più 4,8. Per il resto però i segnali che arrivano da Roma sono molto preoccupanti. E Berlusconi è di nuovo furibondo. Falchi e colombe tornano a minacciare la stabilità del governo. E poco importa se Enrico Letta continua ad ostentare tranquillità. Il Pdl «deciderà per il meglio e non lascerà la coalizione» assicura il presidente del Consiglio alla Bbc. Sono «sicuro che il governo rimanga in piedi e che i partiti continuino a dare il loro sostegno», aggiunge Letta convinto che quanto deciderà il Senato non è un problema del suo governo.E che, soprattutto, ora che lo spread italiano ha raggiunto quello spagnolo, «prevarrà il buon senso e tutti capiranno che c’è bisogno di stabilità». Parole lontanissime da quelle pronunciate ieri dal Pdl. «Se il Partito democratico pensa di usare retroattivamente la legge Severino per far fuori il senatore Berlusconi si sbaglia di grosso: non farà fuori il senatore Berlusconi farà fuori il governo Letta», dice ai microfoni del Tg2 Renato Brunetta. «Se il Pd pansa di togliersi dai piedi Berlusconi non avendolo vinto alle elezioni pensa una cosa irresponsabile perché verrà meno immediatamente la maggioranza», rincara subito dopo al Tg1, il capogruppo Pdl a Montecitorio. Con Daniela Santanchè è proprio Brunetta a guidare il partito di chi spinge per staccare subito la spina a Letta. Ma in questi giorni non sono solo i cosiddetti falchi a chiedere di far saltare il tavolo della maggioranza. «Chiediamo un giudizio sulla base del diritto e non dell’inimicizia storica di questi anni», il twitter di Angelino Alfano poche ora prima della riunione della Giunta». «Spero che il custode e l’interprete del diritto per il Pd non sia Casson o finisce male», rincara Maristella Gelmini. Ma il Pd tira dritto. E il responsabile della Giustizia dei Dem conferma sostegno alla linea di Casson per il quale il ricorso del Pdl a irricevibile. «Il ricorso è un perfetto cortocircuito logico-giuridico, frutto dello scomposto tentativo di Berlusconi e del Pdl di sottrarsi alla legge e ai suoi effetti: la Giunta non è il quarto grado di giudizio, è il partito di Berlusconi che si deve porre il problema di avere un capo condannato non per motivi politici ma per aver sottratto soldi alla comunità nazionale», ricorda Danilo Leva