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Data: 11/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
La giunta rinvia sulla decadenza. Napolitano: unità o tutto è a rischio. Pressing dei figli perché ora Berlusconi accetti la tregua

ROMA Prima l’accelerazione, il calendario a tappe forzate, due sedute delle Giunta per le elezioni nel giro di due giorni. Cosa senza precedenti. Poi la frenata, persino brusca, se vogliamo. Con la decisione presa ieri all’unanimità di imboccare un percorso diverso e far slittare il voto. Non più l’autostrada a 4 corsie imboccata all’inizio, dunque, ma una complanare dove si viaggerà a velocità di crociera. Il relatore Augello, a tarda sera, dopo un intervento durato oltre due ore, ha formalizzato la sua proposta di convalidare l’elezione di Berlusconi («resti senatore»). Le pregiudiziali sono state prima derubricate a «preliminari» e poi eliminate. Ora inizierà il dibattito vero e proprio, si tornerà insomma alla procedura ordinaria con le dichiarazioni di voto (unico) e gli interventi dei capigruppo. Domani alle 15 è convocata la terza seduta.
Nopn è cambiato l’obiettivo che la maggioranza dei membri dell’organismo di Palazzo Madama aveva in mente sin dall’inizio: applicare la legge Severino-Monti, sancire quindi la decadenza del senatore Silvio Berlusconi. Come arrivarci, rispettando le norme, e senza dare agli italiani l’impressione che il Cav stia per essere fucilato da un plotone di esecuzione è il problema che il Pd si è posto sin dalla prima mattinata di ieri, quando i democrat si sono riuniti col capogruppo Felice Casson. «Sentiremo prima cosa hanno da dirci loro, poi vedremo ma la nostra posizione resta la stessa», chiariva la Pezzopane, una che fino a poche ore prima mostrava una certa fretta, prima di entrare a S.Ivo alla Sapienza. Confortata da Epifani che poco dopo a Matrix diceva: «Ci sarà tempo per discutere e passerà qualche giorno ma alla fine la giunta prenderà la sua decisione e io credo sia giusto così, se la giunta non si pronunciasse sulla decadenza sarebbe come affermare la legge del più forte».
IL QUIRINALE

A smontare le trincee hanno contribuito non poco le parole del capo dello Stato Napolitano. Da Barletta tornava a chiedere di rafforzare i pilastri della convivenza nazionale «o è tutto a rischio». Non è un mistero - fonti del Quirinale - che il presidente vedrebbe con favore lo svolgimento della Giunta «in un clima più sereno». Ll’esatto contrario di quello che si era verificato. Ecco allora che dalle accuse incrociate i due schieramenti sono passati a toni più moderati. Mentre i 5Stelle continuavano a invocare - anche con un Twitter a tarda sera - «l’estromissione dal Senato di Berlusconi». Nel frattempo, dopo il vertice dei ministri pidiellini a Palazzo Chigi, le tre pregiudiziali presentate dal relatore Andrea Augello erano diventati «preliminari». E l’ostinazione nel chiedere subito il voto aveva lasciato il posto ad un atteggiamento dilatorio. Anche se, mezz’ora prima che si aprisse la sedute il presidente Stefàno era convinto «che se si vuole si può votare anche stasera». In quanto alla sua partecipazione a Porta a Porta, Stefàno chiariva di esserci andato «ma solo per spiegare le procedure», e perché «finora gli italiani non hanno ancora capito di cosa si sta parlando». L’impressione è che il Pd abbia imposto al presidente Stefàno una diversa gestione dell’orologio. «Per noi - spiegava infatti a Palazzo Madama un esponente democrat - va bene anche se la vicenda si chiuda nell’arco di 0 giorni». Un altro effetto della mediazione si poteva cogliere nelle parole di Benedetto Della Vedova (Scelta civica). «In base al regolamento spiegava - non si possono discutere e votare questioni pregiudiziali: la funzione della Giunta è referente».
12 ORE NO STOP

«Il Pd poteva chiudere la partita bocciando le pregiudiziali o sostituendo il relatore», quasi urlava a tarda sera il grillino Giarrusso. Invece si farà melina. E c’è chi si è divertito a calcolare, regolamento alla mano, che il dibattito potrebbe richiedere almeno altre 12 ore di tempo. Il seggio del Cav per ora è salvo.

Pressing dei figli perché ora Berlusconi accetti la tregua

Se il Pd vuole davvero mandarmi in galera senza neppure accettare di vedere le carte di un processo illegittimo e illegale, se pensano di farmi decadere da senatore in una settimana come con un vero plotone d’esecuzione, per me è già chiaro, ma se avete ragione voi si capirà presto. E a Roma non vengo, così non offro pretesti ai giacobini del Pd. La crisi di governo, quando ci sarà, deve essere chiaro che sarà solo colpa loro, di chi pensa di potermi ammazzare con una mano e governare con i miei voti con l’altra mano». Silvio Berlusconi, ancora chiuso ad Arcore, in una villa che ormai è un bunker, oggi non sarà a Roma, come era stato annunciato tra squilli di tromba solo avanti ieri. Doveva partecipare alla riunione dei gruppi parlamentari congiunti del Pdl. E, invece, nulla.
NEL BUNKER

Altra giornata di attesa e di stress, per il Cav, che non pare finire mai, anche se ieri, oltre alle colombe ministeriali, hanno volato alto pure quelle familiari perché sia i figli, Marina in testa, che i vertici Mediaset capitanati da Fedele Confalonieri, aiutati nella loro opera di mediazione e convincimento da Gianni Letta, sono tornati in pressing per convincerlo a lasciar loro chiedere la grazia, tornando a ipotizzare perfino che possa dimettersi da senatore prima ancora di aver incassato la clemenza. A convincerlo davvero, però, sono stati, in collegamento telefonico da palazzo Chigi dove si sono visti per ore i quattro ministri (Quagliariello, Lorenzin, Di Girolamo, Lupi) del Pdl capeggiati dal suo vicepremier Alfano. E’ stato infatti dalla sede di governo che è partita la linea rossa con Arcore, mentre Enrico Letta, che abita poche stanze più in là, andava e veniva per assicurarsi che tutto andasse bene, consapevole dei rischi, ma anche fermo – raccontano i pidellini – «a non volere cedere ai ricatti».
RIUNIONE A PALAZZO CHIGI

Sintesi della riunione tra il Cav al telefono e i suoi ministri. Quagliariello, costretto a gran malincuore a rinunciare alla giornata clou della sua Summer school di Magna Charta, dove era previsto persino un faccia a faccia Alfano-Letta saltato per ovvi motivi di opportunità, spiega a un Cav perplesso e rabbuiato la strategia in Giunta del Pd e del presidente Stefano. «Una strategia alla muoia Sansone con tutti i Filestei», twitta Mara Carfagna. L’uovo di Colombo pdl è la distinzione tra le pregiudiziali di costituzionalità e le sospensive o questioni preliminari per chiedere alla Giunta di discutere «con molta calma» così da votare solo tra qualche settimana (intorno al 15 ottobre) la decadenza di Berlusconi. Tocca ad Alfano, rabbonito il Cav, che continuava a bofonchiare i suoi consueti «non mi fido...», tirare le conclusioni politiche del caso. «Caro Silvio – è l’accorato e corale appello dei ministri – i falchi del Pd ti provocano, non aspettano altro che una tua reazione. Il partito delle procure è scatenato. Geni alla Zanda, Finocchiaro, Epifani ne sono schiavi ma tu non devi cadere nel tranello. Prendiamo tempo in Giunta, aspettiamo, staniamoli. Vedrai che il Colle, di fronte alle loro continue e palesi provocazioni, oggi prenderà posizione».
SFIDA AI DURI

E, in effetti, in serata arriva puntuale una nota del Quirinale che, per le colombe del Pdl, è miele perché «è chiaro che ce l’ha con quelli del Pd». E i falchi, nel frattempo, mangiano la polvere, per ora. Oggi, però, è un altro giorno. E per il Cav un giorno è tanto. «I ministri – sospira, infatti, stremato, a fine serata, uno di loro - hanno fermato la crisi del governo grazie alla bella triangolazione tra Angelino, Enrico e Gianni (Letta), ma soprattutto grazie al Colle che ha fermato i falchi di casa nostra e, soprattutto, del Pd che sono tanti e vogliono mandare a casa questo governo».

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