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Pescara, 16/05/2025
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Data: 26/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
I parlamentari Pdl: se Silvio decade tutti fuori con lui. Decisione per acclamazione: dimissioni il 4 ottobre. Napolitano: valuterò. Ma c’è già chi si smarca. Scilipoti: non sto focalizzando...Berlusconi: vogliono arrestarmi. E si prepara a scendere in piazza.

ROMA «Il presidente della Repubblica si riserva di verificare con maggiore esattezza quali siano state le conclusioni dell'assemblea dei parlamentari del Pdl». A sera una nota del Quirinale conferma che l’emergenza è ben presente al Colle. La decisione è maturata a tavola, durante un pranzo con i fedelissimi. Silvio Berlusconi è teso, amareggiato, depresso. Si sente accerchiato dalle Procure «che hanno organizzato un’operazione eversiva contro di me» e parla di «arresto imminente». E allora, ragiona, «tanto vale giocare il tutto per tutto. Se votano per la mia decadenza, presentiamo le dimissioni di tutti i nostri parlamentari e così precipiterà tutto». Questo il mandato consegnato al presidente dei deputati, Renato Brunetta, e dei senatori, Renato Schifani. In serata, durante l’incontro con l’ex premier, la richiesta di dimissioni viene accolta con una standing ovation, anche se Brunetta precisa che «ognuno deciderà secondo coscienza». Non ci saranno, invece, le dimissioni dei ministri del Pdl, che sono congelate in attesa degli eventi.
Dunque, per ora, si tratta di un annuncio. Il giorno scelto per l’addio agli scranni sarebbe il 4 ottobre, quando la Giunta per le immunità si pronuncerà sulla decadenza dell’ex premier dal Senato. Ma, in realtà, non sarà quella la data che segnerà la fine della carriera parlamentare di Berlusconi. Bisognerà attendere il voto in aula, che ancora non è stato calendarizzato.
LE TENSIONI

Il Pd, alleato del Pdl nel governo di larghe intese, però non si mostra impressionato da quella che considera «una sceneggiata». Per il segretario, Guglielmo Epifani, «le decisioni e i toni incredibili usati dal Pdl sono l’ennesima prova di irresponsabilità nei confronti del Paese. Evidentemente pensano a sfasciare tutto, ma gli italiani sapranno giudicare». Ancor più duro il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, che si tiene in contatto con il premier Letta a New York e con il vicepremier Alfano. «Mentre affrontiamo emergenze di ogni tipo ci troviamo di fronte a parole e gesti di una gravità assoluta. Ma se qualcuno pensa che siano forme di pressione sappia che sono pressioni a vuoto», scandisce. Secondo i Democratici Berlusconi ha voluto fare un gesto eclatante per lanciare un avvertimento a Napolitano e a Letta che, a suo giudizio, non lo hanno ascoltato. «Mi trattano come un ladro - è lo sfogo con i suoi - ma io sono innocente». E la sicurezza di Napolitano e di Letta riguardo alla durata del governo hanno fatto aumentare la sua irritazione. Anche le consultazioni del capo dello Stato con il leader del Pd Epifani e il segretario del Pdl, Angelino Alfano, sono state vissute come «macchinazioni contro di me». Di qui il colpo di teatro delle dimissioni. Che i fedelissimi sembrano condividere. «Il partito è unito intorno al leader», assicura Alfano, mentre per Bondi «non ha senso restare in Parlamento senza Berlusconi». Entusiasta la Santanchè, che avverte: «Siamo tutti Silvio Berlusconi». Berlusconi si mostra «commosso» dall’affetto che gli manifestano i suoi parlamentari. E tocca le corde del sentimento. «Non dormo, sono dimagrito 11 chili, uno per ogni anno di condanna, 4 per Mediaset, 7 del processo Ruby. Sono stati 55 giorni di passione, i più brutti della mia vita».

Ma c’è già chi si smarca. Scilipoti: non sto focalizzando...

ROMA Ave Caesar, morituri te salutant. Ma non ci fare morire. Dicono a Berlusconi anche questo, ovvero di non farli dimettere davvero come lui vuole e come loro stanno dicendo che faranno, i parlamentari azzurri riuniti fino a notte a Montecitorio? No, questo non lo possono dire. Ma per lo più sono dubbiosi e spaventati di fronte all’accelerazione della rabbia del Cavaliere. Chi teme che non tornerà più in Parlamento. Chi - tutti - mettono pancia in dentro e petto in fuori di fronte a lui («Io mi dimetto», «Io mi dimetto», «Io mi dimetto»), sperando però che sia tutto uno scherzo e che, in caso egli faccia sul serio, poi li ricandidi in nome della fedeltà ostentata. «Ma no, non ci ha mica chiesto di dimetterci....», cerca di minimizzare il senatore Compagna. E aggiunge: «Non credo che il 4 ci dimetteremo. Perchè dovrò privare del mio applauso Berlusconi, quando verrà in aula a fare la sua autodifesa?». Ma la Pitonessa, di rosso vestita, è raggiante, perchè vede il mondo cadere. L’altro falco, Verdini, si gode l’apocalissi e il rumore delle sciabole dell’addio alle Camere. Eppure c’è Scilipoti che parla così, da poeta anti-crepuscolare: «Non sto focalizzando l’idea delle dimissioni». E Razzi, un altro dei vecchi Responsabili: «Io sono stato nominato da Berlusconi e a lui obbedisco. Ma non tutti, qui dentro, la pensano come me e credo che in qualcuno ci sia voglia di restare». Se c’è, nessuna la manifesta davanti al sovrano. A meno che non si tratti di spiriti liberi, come Antonio Martino: «Questa legislatura fa schifo e mi dimetterei subito. Ma non sono un servo della gleba. Decido io se dimettermi o no».
SUBENTRANTI
A uno come il giovane Simone Baldelli, appena nominato a sorpresa vice-presidente della Camera, toccherà rinunciare a molto. Altri lamentano dubbi: e il mio posto chi se lo prenderà? Magari i subentranti agli auto-dimissionati, saranno come Ulisse di Giacomo, il primo dei non eletti in Molise che dovrebbe succedere a Berlusconi come senatore, il quale ha già detto che voterà un Letta bis e chissà quanti come lui appena varcheranno le porte del Palazzo in sostituzione del fedelissimo Bondi o dell’amazzone Daniela penseranno a restarci e diranno a Silvio: ciao, core! Ma ora, standing ovation per il capo che li vuole duri e puri. Fuori dalla sala di Montecitorio, c’è il busto marmoreo di Alcide De Gasperi - il quale forse starà sentendo l’arringa del Cavaliere su Ruby e in comunisti in toga - che sembra avere un’aria tra il perplesso e il preoccupato. L’obiettivo di Silvio è quello di rendere impossibile convocare l’aula del Senato, per mancanza di senatori in carica, quando si tratterà di votare la sua decadenza. Ma il tam tam tra i gladiatori (presunti) che gli siedono di fronte nella sala è assai meno turgido delle parole del Cavaliere: «Riflettiamo.... Non è detto che si debba ricorrere a gesti estremi.... Ma siamo sicuri che sta parlando di dimissioni? Mica sembrerebbe...». Potessero invocare l’aiuto della Provvidenza, per restare inchiodati al proprio scranno, molti di loro lo farebbero. Ma appena la Pitonessa li guarda, loro abbassano gli occhi come a dire «obbedisco!». Ma chissà. Martino, uscendo, ha il coraggio di riassumere un certo mood: «Far cadere il governo? Ma perchè dovremmo fare un favore al Pd?». Se lo chiedono in tanti, questi martiri riluttanti.


Berlusconi: vogliono arrestarmi. E si prepara a scendere in piazza. Azzurri spiazzati dalla brusca sterzata ma i ministri per ora esentati dallo strappo. Brusco faccia a faccia Alfano-Franceschini. Una manifestazione in agenda per domani

ROMA «Ormai ne sono sicuro: i giudici vogliono arrestarmi, vogliono umiliarmi». Così esordisce un Silvio Berlusconi che ammette su di sé anche un dramma personale , davanti ai gruppi parlamentari riuniti nella sala della Regina della Camera dei Deputati. Berlusconi intrattiene i suoi soldati ripercorrendo, per filo e per segno, tutte le sue disavventure giudiziarie, i suoi cinquanta processi e una «magistratura comunista che mi vuole ammazzare da vent’anni». Ho mandato l’altro giorno – spiega - Angelino Alfano al Colle, ma Napolitano continua solo a prendermi in giro. Pretende io segua un percorso di riabilitazione da gulag stalinista. Dovrei attendere il ricalcolo dell’interdizione, iniziare a scontare la pena e poi, una volta rieducato, chiedere la grazia. Non hanno capito chi sono io e con chi hanno a che fare. Ora basta! Dobbiamo mandare un segnale. I sondaggi danno la nostra Forza Italia già al 36%. Se si vota vinciamo!». Di qui la decisione anche di convocare subito, domani pomeriggio, una manifestazione a Roma. Già deciso lo slogan: «Siamo tutti decaduti».
ACCELERAZIONE IMPROVVISA

La drammatizzazione nasce, in realtà, un po’ prima, durante un vertice ristretto convocato nel pomeriggio a palazzo Grazioli che segna il cambio di registro della strategia del Pdl fino a una drammatizzazione che coglie del tutto impreparati (e, in molti casi, spaventati) deputati e senatori che, ammettono candidi, «non ne sapevamo nulla…». Ma ora – conclude il Cav - «chi deve capire capirà una volta per tutte che non stiamo scherzando».
La dead line per la sorte (e, forse, la fine) del governo Letta è stata dunque fissata ieri sera, nella riunione dei gruppi parlamentari del Pdl convocata ad horas da Schifani e Brunetta, al 4 di ottobre 2013, quando la Giunta delle Immunità del Senato voterà la decadenza dell’ex presidente del Consiglio condannato in via definitiva per frode fiscale. La riunione breve ma intensa (non è durata più di due ore) ha visto tutti i parlamentari pidellini compatti e uniti dietro il loro leader come un solo uomo. «Se decadi tu, Silvio, decadiamo anche noi che siamo stati eletti sotto le insegne di liste che si chiamavano ”Berlusconi presidente”», il grido corale di praticamente tutti i deputati e senatori, falchi e colombe, anche se queste ultime battono, plasticamente, in ritirata, chiudendosi in un mutismo pressoché assoluto. E se le dimissioni dei ministri non risultano, allo stato, ancora formalmente richieste, molti falchi fanno notare che «pure i ministri sono onorevoli».
LA DEAD LINE

Le dimissioni dei ministri «seguiranno». E se i lavori parlamentari proseguiranno normalmente questa settimana, sarà l’ultima perché, a partire dalla prossima, spiega Brunetta, «io non me la sento di far proseguire l’attività con il nostro leader decaduto di fatto».
La vera dead line, però, per l’ex premier è tutt’altra ed è compresa in una data che sta tra il 15 e il 19 di ottobre, quando l’ex premier dovrà decidere tra arresti domiciliari o affidamento servizi sociali e la Corte d’Appello di Milano, ricalcolerà la pena interdittiva da i pubblici uffici, ma soprattutto dal timore di nuove inchieste aperte presso altre procure (Napoli, Bari, etc.) che ne potrebbero chiedere, una volta privo dello scudo da senatore, nuovamente gli arresti. Ecco, dunque, i motivi che hanno fatto perdere, forse per sempre, a Silvio Berlusconi la pazienza. I suoi lo scoprono tardi, durante e dopo il vertice a palazzo Grazioli in cui il segretario del Pdl, Alfano, è assente. Alfano, in serata, vedrà il collega di governo Franceschini per cercare, di mettere una toppa a un buco che appare ormai gigantesco, beccandosi per tutta risposta un «siete degli irresponsabili: fare di queste sceneggiate mentre Letta è a Wall Street a rassicurare gli investitori sulla tenuta dell’Italia». Ma è stato lì, a Grazioli, che il Cavaliere ha imposto l’accelerazione finale alla crisi. «Non mi fido più di nessuno», avrebbe urlato il Cav. Laddove il «nessuno» ha un nome e un cognome ben precisi: si chiama Giorgio Napolitano.

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