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Data: 27/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Napolitano gela Berlusconi «Nessun golpe». Il Pdl lo attacca. Scontro dopo l’annuncio di dimissioni in massa, anche i ministri firmano. Giallo su Quagliariello. Schifani e Brunetta contro il Colle

ROMA La minaccia, lanciata nella serata di mercoledì, delle dimissioni di massa di tutti i parlamentari del Pdl quando il Senato voterà la decadenza di Berlusconi, ha fatto tenere le luci accese a lungo nelle stanze del Quirinale nella notte tra mercoledì e giovedì. La decisione senza precedenti degli azzurri, che accompagnava la rinascita di Forza Italia assieme alle grida sul «colpo di Stato» operato da sinistre e magistratura, faceva cambiare radicalmente i programmi di Giorgio Napolitano. E così ieri mattina quanti attendevano la presenza del capo dello Stato alla sala Zuccari del Senato per un convegno su Alcide De Gasperi, tra cui la figlia dello statista trentino, Maria Romana, si sono invece visti recapitare un messaggio nel quale Napolitano si scusava per l’assenza a causa del verificarsi, la sera prima, di «un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante», a cui - precisava il Presidente - «devo dedicare tutta la mia attenzione».
FALCHI SCATENATI

Il messaggio del Quirinale, soprattutto per quell’aggettivo «inquietante», era come un colpo di fionda sul nido dei falchi azzurri, che si alzavano subito in volo. Per Sandro Bondi, Napolitano prima di definire «un fatto politico inquietante» la decisione sulle dimissioni presa dall’assemblea dei gruppi, avrebbe dovuto ascoltare Brunetta e Schifani per «comprendere l’alto valore istituzionale, politico ed etico del nostro gesto». Da parte sua, la Santanché, sentenziava che Napolitano «dovrebbe sì inquietarsi, ma per i procedimenti d’infrazione aperti dall’Europa sull’irresponsabilità dei giudici italiani». Ma a questo punto, in tarda mattinata, arrivava una raggelante nota del Colle, nella quale, osservato che l’orientamento dei gruppi pdl non era stato formalizzato in alcun documento reso pubblico e portato a conoscenza della massime istituzioni, Napolitano ribadiva di «non potere che definire inquietante l’annuncio di dimissioni in massa dal Parlamento di tutti gli eletti del Pdl. Ciò configurerebbe infatti l’intento, o produrrebbe l’effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere. Non meno inquietante - notava il Presidente - sarebbe il proposito di compiere tale gesto al fine di esercitare un’estrema pressione sul capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle Camere». Auguratosi che i parlamentari azzurri «possano trovare il modo di esprimere la loro vicinanza politica ed umana al presidente del Pdl senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni del Parlamento», Napolitano concludeva la sua nota con la più decisa delle staffilate, affermando che «non occorre neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un ”colpo di Stato“ o una ”operazione eversiva“ in atto contro il leader del Pdl. L’applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico, è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto in Europa, così come la non interferenza del capo dello Stato o del primo ministro in decisioni indipendenti dell’autorità giudiziaria».
La prima risposta, tutt’altro che intimidita, al Quirinale veniva con l’accelerazione da parte dei gruppi del Pdl della raccolta delle firme su moduli prestampati per le dimissioni dei deputati e dei senatori. A sera risultavano aver firmato praticamente tutti, ministri inclusi. Solo sulla firma di Quagliariello si è aperto un giallo. Ma quello che avrebbe portato al calor bianco lo scontro istituzionale ormai in atto, è stata la durissima nota di risposta a Napolitano dei capigruppo pdl Schifani e Brunetta, nella quale si obietta che «la definizione di ”colpo di Stato“ e di ”operazione eversiva“ non è inquietante ma assolutamente realistica e pienamente condivisibile». E questo alla luce di «un’operazione persecutoria da parte di una corrente della magistratura tesa a escludere definitivamente dalla competizione politica il leader del centrodestra, a cui si aggiunge il voto della Giunta del Senato con l’applicazione retroattiva della legge Severino, che calpesta il principio fondamentale dello Stato di diritto sulla irretroattività delle leggi».

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