ROMA Nessuna trattativa, «prendere o lasciare» e subito un chiarimento in Consiglio dei ministri e in Parlamento ma sia chiaro che «non ci sto al Vietnam del Pdl». Così Enrico Letta al termine di una giornata ad alta tensione, scandita dai colloqui con Alfano, Epifani e Monti e culminata nel lungo incontro con Giorgio Napolitano, terminato pochi minuti prima del Consiglio dei ministri. La prima occasione di vedere in faccia i cinque ministri del Pdl, dopo la minaccia dell’Aventino di tutti i parlamentari berlusconiani. E’ con il capo dello Stato che il premier mette a punto la road map che in questi giorni potrebbe anche portare alla fine del suo governo. Lunedì, massimo martedì prossimo, il premier si presenterà in Parlamento, probabilmente in Senato dove i numeri della maggioranza sono più esigui. Letta chiederà una verifica, un chiarimento rapido «senza se e senza ma» e pretenderà un nuovo voto di fiducia per stabilire una volta per tutte il destino del governo. In Consiglio dei ministri ieri sera si sono alzati i toni ancora una volta sulla giustizia. Alfano ha chiesto che fosse al centro del confronto, altrimenti sarebbe un «chiarimento iprocrita». Franceschini gli ha risposto duramente: «Per il Pdl parlare di giustizia è sinonimo dei problemi giudiziari di Berlusconi, ma non è possibile barattare la durata del governo con cedimenti sulle regole. Nel programma ci deve essere il rispetto dello stato di diritto». Il Pdl potrebbe anche votare la fiducia per tentare di lasciare a Enrico Letta in mano il cerino della crisi. Ma confermerà un minuto dopo le dimissioni di tutti i parlamentari quando la Giunta voterà la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Letta a quel punto rassegnerà le dimissioni, scaricando sul centrodestra la responsabilità di una crisi che potrebbe avere risvolti drammatici. Soprattutto per le tasche degli italiani visto che il governo non ha ancora approvato il rinvio dell’aumento dell’Iva e che entro il 15 ottobre bisogna varare la legge di stabilità senza la quale il rischio che sia l’Europa a scriverla non è solo una minaccia. Che succederà dopo resta un rebus. Di certo c’è la ferma e risoluta volontà di Giorgio Napolitano di non sciogliere le Camere prima che venga approvata una nuova legge elettorale. Sul Porcellum pende il giudizio della Corte costituzionale, atteso per il 4 dicembre. Il capo dello Stato sollecita da anni le forze politiche perché avviino le riforme, in primis quella elettorale. Se davvero come tutto lascia immaginare Letta dovrà gettare la spugna, il capo dello Stato cercherà di dar vita a un governo di scopo con pochi e precisi obiettivi: la legge di stabilità e quella elettorale. Magari affidandolo a una figura istituzionale come il presidente del Senato, Pietro Grasso, che gode di qualche simpatia anche tra i grillini. Ieri il senatore M5S Luis Orellana ha reso nota la sua disponibilità e quella di altri senatori a sostenere questo tipo di governo, ricordando che l’abolizione del Porcellum è nel programma del Movimento. Ma Grillo ha ribadito il suo “no” zittendo i dissidenti. Chi lo conosce bene dice di non aver mai visto Letta più determinato che in questo momento. Soprattutto dopo il faccia a faccia con il suo vice, Angelino Alfano ricevuto a Palazzo Chigi prima del segretario del Pd. Alfano ha ribadito a Letta la posizione del Pdl: non possiamo sostenere un governo con un partito, il Pd, che vuole cacciare Berlusconi dal Parlamento. Altrettanto duro è stato Epifani che a Letta ha confermato tutto il sostegno del suo partito ma gli ha chiesto di non farsi ricattare dal Pdl che antepone gli interessi di uno a quelli del Paese. Tocca a Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il Parlamento, fare il punto con i ministri del Pd. E tutti confermano la linea di Letta: Senza un chiarimento non si può andare avanti. Raccontano che sia stato proprio Giorgio Napolitano a convincere Enrico Letta a frenare sulle dimissioni. Il premier le voleva dare già giovedì, da New York. Napolitano che avrebbe interrotto ogni rapporto con il Pdl dopo l’annucio delle dimissioni dei parlamentari, ha convinto Letta ad aspettare per stanare pubblicamente Berlusconi e i suoi. Il premier questa volta non ha però più voglia di mediare. Prova ne sia anche il rinvio della questione Iva in Consiglio dei ministri, Non posso prendere provvedimenti di questi tipo se sta per cadere il governo, avrebbe spiegato Letta. Dunque basta mediazioni e giochini. Lo ha spiegato nel pomeriggio anche allo zio, Gianni Letta, una delle poche colombe che ancora volano nel cielo del Pdl.