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Data: 05/10/2013
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Giunta Senato, sì alla decadenza di Berlusconi Post ironico di Crimi, scontro Schifani-M5S

La Giunta per le elezioni del Senato ha votato a maggioranza la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore, a seguito della condanna definitiva per frode fiscale. L’annuncio è stato dato dal presidente Dario Stefàno attorno alle 16,30, dopo una camera di consiglio di oltre cinque ore. La parola passa ora all’Aula di Palazzo Madama che dovrà ratificare la proposta. La seduta pubblica, prima della camera di consiglio, era durata meno di un’ora . Le forze politiche si erano presentate all’appuntamento fortemente divise: il Pdl facendo quadrato attorno al proprio leader e sostenendo la non applicabilità della legge Severino sulla non eleggibilità dei condannati,perché al momento in cu i fu commesso il reato quelle norme non erano ancora in vigore; il centrosinistra, Scelta Civica , Sel e il Movimento 5 Stelle orientati invece per un voto favorevole alla decadenza.

LA GAFFE DI CRIMI - A metà mattina una battuta contro Berlusconi pubblicata sulla pagina Facebook di Vito Crimi, ex capogruppo del M5S, era stata motivo di una vera e propria insurrezione da parte del Pdl, che per bocca del capogruppo Renato Schifani aveva sollecitato un intervento del presidente dell’assemblea di Palazzo Madama, Pietro Grasso, chiedendo l’interruzione dei lavori della Giunta. Lo stop non c’è stato, Grasso ha spiegato di non potere intervenire sull’operato dell’organismo già riunito in camera di consiglio, ma ha giudicato il post dell’ex capogruppo grillino «inqualificabile e gravemente offensivo» e ha assicurato che il comportamento del senatore Crimi «verrà sicuramente valutato dagli organi competenti del Senato». Anche esponenti del centrosinistra e dello stesso M5S avevano criticato le parole di Crimi, qualcuno giudicandole addirittura un possibile ostacolo sul percorso della decadenza. Alla fine però l’episodio non ha avuto ripercussioni sui lavori.

«FUOCO AMICO» SUL CAV. - Il Cavaliere ha dovuto fare i conti anche con il «fuoco amico»: a chiedere formalmente la sua fuoriuscita dal Senato è stato infatti per primo Ulisse Di Giacomo, già senatore del Pdl nella passata legislatura e alle ultime elezioni primo degli esclusi della lista pidiellina in Molise - dove Berlusconi è stato eletto -, che con la decadenza del leader del centrodestra si vedrebbe aprire le porte di Palazzo Madama . Di Giacomo è già dato in quota agli «alfaniani», che in occasione della fiducia al governo Letta hanno preso le distanze da Berlusconi e dal gruppo dei cosiddetti «falchi», e la battaglia contro il Cavaliere in giunta sembrerebbe confermare, al di là del tornaconto personale, il suo disallineamento. Il suo avvocato, Salvatore Di Pardo, ha preso la parola durante la seduta pubblica contestando tutti i rilievi addotti nei giorni scorsi dall’ex premier per rivendicare un voto a lui favorevole. In particolare, ha puntato il dito sulla richiesta di ricusazione di una decina di membri della Giunta per manifesto pregiudizio «Nessun senatore è imparziale - ha ricordato il legale -, i giudizi sono sempre politici, da una parte e dall’altra. I senatori non sono giudici e non devono essere terzi. E questa è una garanzia per chi è sottoposto alle loro valutazioni, non una penalizzazione ». Di Pardo ha sottolineato che se Berlusconi fosse stato trattato come un cittadino qualunque,a quest’ora non sarebbe già più senatore , perché la decadenza sarebbe stata automatica, così come avvenuto nel caso di tutti gli altri politici (uno su tutti: l’ex presidente della regione Molise, Iorio, dichiarati subito decaduti da i tribunali di riferimento) già sottoposti alla legge Severino.

«CI PENSERA’ L’EUROPA» - Gli avvocati di Berlusconi - Niccolò Ghedini, Franco Coppi e Pietro Longo - non hanno partecipato alla riunione. Sono intervenuti solo in un secondo tempo, lontano da Palazzo Madama, con delle dichiarazioni diffuse alla stampa: «Non vi è possibilità alcuna di difesa - hanno spiegato - né vi è alcuna ragione per presentarsi di fronte a un organo che ha già anticipato, a mezzo stampa, la propria decisione». «Nessuna acquiescenza - hanno aggiunto - può essere offerta a chi non solo non è, ma neppure appare imparziale. Non vi è dubbio che anche questa ulteriore violazione dei diritti costituzionali e dei principi della Convenzione Europea troverà adeguato rimedio nelle sedi competenti». E poi, dopo la lettura della sentenza: «Si è creato un gravissimo precedente che mina profondamente la storia democratica del Paese e lo stato di diritto. Tanta era la fretta che non si è voluto né investire la Giunta per il regolamento né inviare gli atti alla Corte Costituzionale né alla Corte di Lussemburgo né attendere la decisione del ricorso a Strasburgo. Vi era evidentemente il timore che altri organismi potessero emanare statuizioni che modificassero la decisione già assunta».

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