ROMA «Si è chiusa una stagione politica durata 20 anni. Si è chiusa in modo politico con un confronto molto forte. Berlusconi ha cercato di far cadere il governo e non ci è riuscito perché il Parlamento in sintonia con il Paese ha voluto che si continuasse». Non si sdraia sugli allori Enrico Letta nella prima intervista, a Sky Tg24, dopo la riconquistata fiducia per il suo esecutivo e, osservato di essersi assunto «un rischio per non aver accettato mediazioni», ingiunge, soprattutto al partito alleato: «Non si ricomincia con la tarantella. La pagina è stata voltata in modo definitivo. Sono rispettoso del travaglio del Pdl, Alfano ha affermato una leadership forte e marcata: è stato sfidato e ha vinto. Ora trovino modi e forme perché quello che è accaduto non accada più». Difficilmente il premier sarebbe potuto essere più tranchant, tant’è che è proprio il suo vice, Angelino Alfano - premuto da una schiera di compagni di partito assai reticenti a scrivere prematuri epitaffi per il Cavaliere - a sentirsi costretto a una replica piccata: «Non accettiamo e non accetteremo ingerenze nel libero confronto del nostro Movimento politico!». Il punto esclamativo significativamente compare nella nota diramata dal quartier generale azzurro, nella quale - in risposta anche alle dichiarazioni del segretario del Pd, Epifani - Alfano afferma che «non saranno i nostri avversari a determinare la chiusura del ciclo politico di Berlusconi, in quanto il popolo, ancora oggi, individua in lui il leader di un grande partito e il leader di una coalizione che può ancora vincere».
SOSTANZIALE OTTIMISMO
Difficile tuttavia pensare che le parole di Alfano e quelle ancora più dure di altri esponenti del Pdl riescano a smontare il sostanziale ottimismo mostrato da Letta nella sua intervista. Anche perché il premier premette di «fidarsi molto dei cinque ministri pdl che hanno mostrato saggezza». Il discorso cambia solo per il sottosegretario Michaela Biancofiore, di cui il presidente del Consiglio ha accettato le dimissioni «perché, dopo che i ministri le avevano ritirate, lei le ha mantenute. Quindi - puntualizza - le ho accettate per far capire che le cose sono cambiate». Quanto alla fiducia sulla tenuta e la durata del governo, Letta la fonda sul dato, di cui si dice certo, che «alla fine dell’anno avremo il segno più sulla crescita ed il prossimo lo stesso». Annuncia che la prossima legge di stabilità «avrà come cuore la riduzione del cuneo fiscale e che nel 2014 i lavoratori italiani ne avranno un beneficio in busta paga», mentre «ci saranno vantaggi anche per le imprese». Con la legge di stabilità, dice sempre il premier, «si metterà ordine nelle aliquote dell’Iva», così come si porranno le premesse per «riduzione della spesa, dismissioni del patrimonio pubblico, recupero dell’evasione fiscale», con l’obiettivo di «far rientrare i soldi che stanno in Svizzera, che sono tanti e bisogna fare in modo che quei soldi paghino il nostro welfare». Altro tema d’attualità, il finanziamento pubblico dei partiti, per il quale Letta annuncia un decreto se dal Parlamento, entro l’autunno, non arriverà l’attesa riforma. Infine, da parte del premier, un sorriso per quel «grande» esclamato in Senato all’annuncio del voto di fiducia del Cavaliere: «Una battuta ovviamente ironica. Tutto mi aspettavo meno che quello che è accaduto».
Si diceva della durezza delle reazioni azzurre alle considerazioni del premier. Sandro Bondi le definisce «ingenerose nei confronti di Berlusconi, inutilmente polemiche verso il Pdl e arrischiate sul piano politico». Assai risentito il giudizio di Mariastella Gelmini: «Gravi, irrispettose e autolesioniste le affermazioni di Letta che - osserva l’ex ministro dell’Istruzione - pare avere troppe certezze. E’ sempre buona regola non entrare mai nelle vicende di un altro partito, in particolare se alleato. Letta corre troppo. La chiusura dell’epoca berlusconiana è evidentemente un suo contraddittorio desiderio che - conclude la Gelmini - stride col sostegno che Berlusconi sta garantendo al suo governo e non ne aiuta la stabilità». «Inaccettabili», per Maurizio Gasparri, «i toni liquidatori di Letta» di cui il vicepresidente del Senato denuncia «il cinismo che cancella la storia di un leader e la validità di un percorso del centrodestra».