ROMA È una battaglia totalmente di carta quella che si è combattuta alla Camera dei deputati, in materia di Imu: l’emendamento del Partito democratico che si proponeva di ripristinare il pagamento nel 2013 per le abitazioni principali con rendita dai 750 euro in su non ha mai avuto nessuna reale possibilità di essere approvato e incidere quindi sulla vita dei contribuenti. Il testo è stato prima dichiarato inammissibile, quindi riammesso alla votazione, che si sarebbe dovuta svolgere oggi; infine i suoi promotori si sono detti disponibili a ritirarlo, in cambio della disponibilità del governo ad affrontare «il quadro complessivo di come si chiuderà il 2013 sulle diverse emergenze finanziarie».
LE PROPOSTE DI MODIFICA
La proposta, firmata da una nutrita pattuglia di deputati del Pd, interviene sul decreto con il quale il governo aveva definitivamente cancellato per l’anno in corso il versamento del tributo per le abitazioni principali. Viene previsto che questa esenzione valga solo per gli immobili la cui rendita catastale sia inferiore a 750 euro; gli altri dovrebbero pagare. Con le risorse finanziarie risparmiate verrebbe riportata al 21 per cento, a partire dal primo novembre, l’aliquota Iva appena passata al 22.
Ma non c’è solo l’emendamento del Pd. Anche Scelta Civica ha presentato proprie proposte emendative, che sono state dichiarate ammissibili, tra cui una che ugualmente rimette in gioco il versamento della prima rata prevedendo il passaggio dell’attuale detrazione per abitazione principale da 200 a 300 euro, e l’obbligo di pagare per gli immobili la cui imposta supera questa soglia. L’esecutivo però non ha alcuna intenzione di definire l’assetto finale dell’Imu di quest’anno con questo decreto legge, e tanto meno di rimettere in discussione il pagamento dell’acconto; mossa che troverebbe com’è ovvio la totale opposizione del centro-destra. Così la posizione ufficiale del Pd è stata chiarita in serata dal responsabile economico Matteo Colaninno: va bene il principio di equità per cui le case di maggior pregio debbano in una certa misura contribuire all’Imu - è il ragionamento di Colaninno - ma questo può valere solo per il saldo, visto tra l’altro che riaprire la partita sarebbe problematico anche per i Comuni.
LA POSIZIONE DEL GOVERNO
In effetti il governo intende dire l’ultima parola in materia di tassazione delle abitazioni principali con un provvedimento inizialmente annunciato per metà ottobre, in concomitanza con la legge di stabilità, ma che con tutta probabilità è destinato a slittare ad una fase successiva. Per decidere c’è tempo, e molto dipenderà anche dall’evoluzione politica del centro-destra.
Dunque al momento la priorità è la manovra di bilancio per il prossimo anno, il cui importo potrebbe superare i 10 miliardi. Tre i pilastri principali: la riduzione delle tasse sul lavoro ed in particolare del cosiddetto cuneo-fiscale, a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, per un importo complessivo di 5 miliardi; la definizione di una imposta sui servizi in vigore dal 2014 in poi, che sostituisca l’attuale Imu con ampi margini di autonomia per i Comuni; la rimodulazione dell’attuale struttura dell’Iva in particolare per quanto riguarda i regimi di esenzione e le attuali aliquote agevolate.
Particolarmente delicata è la partita con le autonomie locali, che comprende accanto alla service tax (probabilmente il vero terreno su cui si combatterà lo scontro sulle case di pregio o presunte tali) anche il tema dell’allentamento del patto di stabilità: a questo obiettivo sarebbero destinati 1-1,5 miliardi, mentre altri 2 andranno ai Comuni come dote per la gestione della nuova imposta sui servizi, in modo che risulti comunque per le prime case meno pesante dell’Imu.
Ma Letta stoppa la modifica: non rompo l’asse con Alfano
Dietro lo stop c’è Enrico Letta. Il premier è determinato a rispettare il patto con Angelino Alfano e a non mettere in difficoltà il vicepremier «impegnato», osservano a palazzo Chigi «a giocare nel Pdl la partita della vita contro l’ala sfascista. E riaprire adesso la questione dell’Imu vorrebbe dire alzare una palla d’oro ai falchi berlusconiani». Così oggi, in Commissione, il governo esprimerà parere contrario all’emendamento del Pd. «Tutte le eventuali modifiche», osservano nell’entourage del premier, «verranno esaminate quando verrà scritta la service-tax. Non certo adesso».
IL BANCO DI PROVA
Per Letta, che ieri ha avviato la sua road map per il varo della legge di stabilità incontrando i leader di Cgil, Cisl e Uil, «quella che si apre è una settimana cruciale». «Questa legge», ha argomentato il premier, «è il banco di prova della nuova maggioranza. Da qui vedremo e verificheremo se la stabilità politica è un valore acquisito».
L’approccio di Letta è quello illustrato in Parlamento mercoledì scorso, il giorno della resa di Silvio Berlusconi e del suo ”sì” alla fiducia al governo. Quel giorno il premier disse: «Basta ricatti e aut aut». «E questo vale a maggior ragione in questa fase di redazione della legge di stabilità», sostengono a palazzo Chigi, «non saranno ammessi i comportamenti che hanno scandito i primi cinque mesi di vita del governo. Con gli ultimatum non si governa». Un chiaro riferimento alle grida di Renato Brunetta & C. «Ma ora la situazione sembra più chiara. E comunque il nostro interlocutore è Alfano, vicepremier e segretario del Pdl, il suo ruolo è cresciuto in modo esponenziale dopo la fiducia e la resa del Cavaliere». Per dirla con Letta: «Non si ricomincia con la tarantella, la pagina è stata voltata in modo definitivo». E il garante è, appunto, Alfano. Da qui la massima intenzione a non indebolirlo riaprendo il dossier-Imu. I collaboratori descrivono Letta «concentratissimo» sulla legge di stabilità. «Si è persa una settimana a causa della crisi innescata dalle dimissioni del Pdl, perciò da qui al 15 ottobre il premier si occuperà esclusivamente della legge». In altre parole, Letta si è gettato a capofitto nel taglio al costo del lavoro. Un’operazione da 4-5 miliardi che servirà «a dare più soldi in busta paga ai lavoratori in modo da permettere una ripresa dei consumi, maggiori margini di competitività per le imprese e incentivi alle aziende che assumono a tempo indeterminato».
Il tutto in un «lavoro simbiotico» con il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, garantiscono i collaboratori di Letta. E il tutto per «ridare respiro e agganciare la ripresa economica che si sta affacciando in modo concreto e visibile in quest’ultimo trimestre».
SOLLIEVO AL TESORO
C’è da dire che sta perdendo forza l’idea di inserire nella legge di stabilità alcuni provvedimenti “espansivi”. Il famoso “bonus” da 12 miliardi che doveva scattare grazie alla chiusura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo, è andato a sbattere contro il niet di Saccomanni. La ragione: qualunque spicciolo disponibile deve andare al piano di rientro dal debito. Lo stop: «Non ci sono margini di manovra», dicono al Tesoro, «e se ci fossero andrebbero concordati con Bruxelles».
C’è anche da aggiungere che dopo la batosta subita da Berlusconi, anche Saccomanni respira meglio. «Si lavora più serenamente e con meno pressioni quotidiane», dice un collaboratore del ministro, «sembra prevalga la consapevolezza che è necessario tenere i conti in ordine». Si vedrà.