MILANO Se Air France dovesse decidere di disimpegnarsi da Alitalia non sottoscrivendo l’aumento di capitale da 300 milioni o sottoscrivendo solo parte della quota di pertinenza, l’operazione avrà comunque successo perché la sua architettura «è stata strutturata in modo tale da garantirne l’esito, con o senza l'apporto del socio francese». La precisazione è giunta da una fonte vicina al dossier in risposta alle critiche «anonime» che i siti dei principali quotidiani francesi avevano mosso all’operazione-Poste. Il che non significa che non vi saranno cambi radicali nella politica della compagnia e nel management. Anzi, se la poltrona dell’amministratore delegato Gabriele Del Torchio (arrivato solo sei mesi fa) è sotto esame, diversa è la posizione del presidente Roberto Colaninno, per definizione responsabile primo della pesante situazione nella quale si è venuta a trovare Alitalia.
STRALCIO DEL DEBITO
Peraltro, secondo indiscrezioni raccolte dal Messaggero ieri il presidente operativo del vettore parigino Alexander de Juniac avrebbe comunicato a Colaninno che, nonostante il via libera dato dai rappresentanti di Parigi nel cda di venerdì scorso al piano finanziario da 500 milioni, Air France non parteciperà alla ricapitalizzazione facendo quindi mancare 75 milioni sul totale di 300. Se ciò fosse confermato, iI francesi si diluiranno all’11-12% perdendo di conseguenza i poteri di veto che, secondo gli accordi stipulati al momento dell’ingresso nel capitale della compagnia italiana con il 25% (gennaio 2009), sono legati al mantenimento di una partecipazione superiore al 20%. Con la riduzione della partecipazione, l’alleanza condizionata verrà di fatto azzerata, a cominciare dagli accordi di code-sharing, cioè le intese commerciali per le quali una compagnia pone il proprio codice su specifiche rotte e vende posti sui voli operati dal partner. Il passo indietro sarebbe stato anticipato, nella tarda serata di venerdì 11 dagli advisor della compagnia francese, Mediobanca e Lazard, a quello di Cai (Leonardo & Co) motivandolo con la non condivisione del piano finanziario: ok all’aumento da 300 milioni, no alle nuove linee di credito da 200 milioni che vanno ad accrescere le passività di Alitalia. Air France avrebbe preferito una ristrutturazione-stralcio dei 442 milioni in essere.
«Noi chiediamo trasparenza nella gestione verso gli azionisti e un management professionale», ha spiegato ieri da Washington, dove partecipava ai lavori del Fmi, Gian Maria Gros-Pietro, presidente del cdg di Intesa Sanpaolo, uno dei principali azionisti di Cai con il 10,1%. L’economista-banchiere ha aggiunto che non è più possibile «trovarsi in una situazione in cui in 15 giorni non ci saranno più soldi per il carburante». Più chiaro di così non poteva essere Gros-Pietro nel chiedere espressamente un ricambio della governance. «Per Alitalia l'importante è trovare un partner, noi non siamo azionisti di lungo termine», ha aggiunto il banchiere, «per il nostro paese avere una compagnia area è qualcosa che ha valore. Il nostro atteggiamento è salvaguardare gli investimenti esistenti». Intesa è però «orientata nel medio termine a passare il bastone del comando».
Il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi, che più di altri si è prodigato nell’individuare il piano di emergenza, è il solo che sembra confidare in un atteggiamento ancora positivo dei francesi: «Mi auguro - ha detto ieri - che Air France, che ha votato l'aumento di capitale, vi partecipi dimostrando lo stesso interesse dei privati». Ma forse sono solo parole di cortesia.
Ghizzoni: «Così abbiamo salvato la compagnia»
MILANO In sordina, come nello stile della sua gestione, Federico Ghizzoni ha svolto un ruolo-chiave anche nel salvataggio di Alitalia. Pur non essendo (ancora) azionista come Intesa Sanpaolo, Unicredit è stata (ed è tuttora) in cabina di regia nelle manovre ad alta quota: è il principale creditore di Cai con 185 (garantiti) dei 442 milioni di debiti censiti dalla centrale rischi di Bankitalia (a parte i leasing sugli aerei). «Ci siamo adoperati per trovare una soluzione a un problema grave per il Paese e per l'economia italiana», spiega Ghizzoni in un colloquio con il Messaggero che ieri gli ha parlato mentre era al suo posto di comando al ventinovesimo piano dell’avveniristico grattacielo Gae Aulenti a Milano.
I PRIMI SEGNALI DA LETTA
«Il rischio di avere aerei fermi e molti aeroporti italiani chiusi era più che reale e si era arrivati a questa situazione perché la questione era stata lasciata deteriorare». Il banchiere piacentino è al suo posto di combattimento anche di sabato per recuperare il lavoro accumulato anche a causa delle numerose riunioni dedicate al caso Alitalia. Su questo dossier era stato allertato da Enrico Letta in settembre, alle prime avvisaglie di una crisi che stava diventando terminale. Ma nonostante i segnali di attenzione inviati, i soci di Cai non avrebbero preso in mano la situazione. Nelle ultime due settimane, per tre volte ha dovuto presenziare ai vertici plenari organizzati da Palazzo Chigi e più volte al giorno ha conversato con i vari protagonisti. Come ieri, quando si è intrattenuto a colloquio con Massimo Sarmi. «Se guardiamo al funzionamento dell'economia italiana e ad alcuni settori fondamentali come il turismo o i trasporti, è chiaro che Alitalia è un asset strategico di fondamentale importanza», aggiunge il banchiere.
Una telefonata interrompe per qualche minuto il colloquio: Ghizzoni si mostra riservato sull’identità dell’interlocutore, ma è chiaro che il tema è Alitalia. «E' per salvare questo asset strategico che siamo intervenuti, e non certo per diventare azionisti», puntualizza il banchiere col suo modo di conversare asciutto e diretto. «Non eravamo azionisti ma solo creditori e, per essere chiari, non è interesse di Unicredit rimanere azionista nel futuro».
La banca, in tandem con Intesa e le Poste, ha accettato di far parte del consorzio di garanzia dell’aumento di capitale da 300 milioni: con i due partner coprirà l’inoptato fino a 100 milioni a patto, però, che i soci italiani storici versino almeno 125 milioni da aggiungere ai 75 che sottoscriverà il gruppo guidato da Sarmi. E che si proceda a una svolta radicale nel cda. Unicredit non opera come banca di sistema ma, come Ghizzoni ripete spesso, affianca i clienti in fasi cruciali della vita aziendale per aiutarli a rimettersi in carreggiata. Come è stato per il gruppo Pirelli alle prese con il riassetto legato al divorzio con la famiglia Malacalza. E Alitalia è un cliente importante non solo per l’entità delle cifre mosse, quanto per la strategicità del ruolo che svolge. Ma attenzione, Unicredit affianca le aziende ma pone condizioni: lo ha già fatto con Rcs e Carlo Tassara. E ora si ripete con Cai.«Adesso il percorso deve essere chiaro», sottolinea nuovamente. «Intanto tutti gli azionisti privati, grandi e piccoli, devono fare il proprio dovere, senza pensare che il peso del loro intervento possa essere scaricato su altri»: lo stesso ragionamento Ghizzoni lo fece con alcuni grandi soci di Rcs quando pose le condizioni per rifinanziare il debito. «Questo significa fare la propria parte dal punto di vista finanziario e supportare il management che dovrà gestire il nuovo piano industriale. Per questo penso serva una chiara discontinuità nella governance dell'azienda e un piano industriale adeguato, che assicuri ad Alitalia la possibilità nel medio termine di arrivare ad un'alleanza con un socio industriale forte». Dunque, anche Unicredit sollecita il ricambio gestionale mentre la governance dovrà essere riscritta in novembre, a valle dell’esecuzione dell’aumento.
SI TRATTA ALLA PARI
L’attuale cda verrà in parte ricomposto, a cominciare dal presidente che potrebbe essere sostituito da una figura di garanzia condivisa con Poste e banche. Anche Unicredit, specie se dovesse restare con una quota importante di inoptato, potrebbe indicare un professionista per vigilare sulla gestione. «L'obiettivo è di poter trattare con altri vettori in maniera paritaria per poter disegnare un futuro dove Alitalia possa giocare un ruolo centrale nel trasporto aereo nell’interesse del sistema economico nazionale». Non si sbilancia Ghizzoni sul nuovo partner, ma ribadisce più volte che ora Alitalia potrà negoziare con chiunque senza timori reverenziali.