ROMA L’asticella qualche volta sale e altre scende. Ma di fatto per l’operazione cuneo fiscale nel 2014 il governo non riesce a racimolare più di 5 miliardi di euro, forse si fermerà a 4,5. Saranno comunque i lavoratori dipendenti con stipendi sotto i 55.000 euro lordi l’anno a usufruire dei benefici della riduzione delle tasse. È a loro che si pensa di destinare i due terzi del plafond totale per questa voce, circa tre miliardi di euro. Le imprese, per il momento, si dovranno accontentare della fetta minore. Con una certezza, però: l’operazione riduzione cuneo fiscale continuerà nei prossimi anni. Sicuramente fino al 2016. Il governo ha intenzione di metterlo nero su bianco nella legge di stabilità che varerà domani. Con tanto di cifra corrispondente ad ogni anno (3 miliardi nel 2015, altri 3 nel 2016). Il totale spalmato nel triennio, quindi, potrebbe anche superare quei 10 miliardi chiesti a gran voce da Confindustria e sindacati.
LO STIPENDIO DI GIUGNO
Stando alle tabelle elaborate dal dipartimento finanze del Ministero dell’Economia sulla base delle dichiarazioni dei redditi del 2012, i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 55.000 euro lordi sono quasi 20 milioni. Attraverso il meccanismo delle detrazioni Irpef, la loro busta paga di giugno (o al massimo quella di luglio), sarà più pesante. Di quanto? Molto dipenderà dall’effettiva platea dei beneficiari. Di questi 20 milioni, infatti, quattro sono i cosiddetti lavoratori dipendenti incapienti. Coloro cioè che, guadagnando meno di 8.000 euro l’anno, rientrano nella ”no tax area“ e quindi non sono tenuti a presentare dichiarazione dei redditi. Saranno tra i beneficiari delle riduzioni delle tasse? E, nel caso, con quale meccanismo? Per ora non ci sono risposte certe. Per il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, la questione nemmeno si dovrebbe porre: «Spalmare cinque miliardi su tutti i lavoratori e tutte le imprese serve a poco: meglio concentrarsi da una parte sugli incapienti e dall’altra sull’Irap e sulla deducibilità degli utili reinvestiti» ha dichiarato qualche giorno fa.
La cifra netta che il lavoratore potrebbe trovarsi (in un’unica tranche) nella busta paga di metà anno, cambierà a seconda della platea. Se ci rientrano gli incapienti sarà di 150 euro, altrimenti lieviterà fino a 185 euro. Sono esclusi dal beneficio i pensionati: a garantire loro un minimo di sollievo sarà lo sblocco dell’indicizzazione che, secondo quanto promesso dal ministro Giovannini, riguarderà le pensioni fino a sei volte il minimo.
IL MENU’ PER LE AZIENDE
Con due miliardi non si possono fare miracoli. Allora meglio ”potenziare” alcune misure già in atto, così da moltiplicarne l’effetto. È il caso delle deduzioni Irap legate ai contratti a tempo indeterminato. Su questa voce già la legge di stabilità dello scorso anno (con effetti a partire da gennaio 2014) ha messo un miliardo (le deduzioni partono da 7500 euro annui a dipendente e arrivano a 21.000 euro nel caso di under 35 e donne nelle regioni svantaggiate). Il nuovo provvedimento aumenterà la dote e quindi le deduzioni. Sulla linea del ”potenziamento” anche le agevolazioni per gli utili reinvestiti, e gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato. Va avanti anche l’ipotesi di ridurre i contributi Inail alle aziende virtuose, aumentando quelli per chi ha un’alta incidentalità.
Gli italiani e l’Irpef, quegli sconti così difficili da notare
ROMA Il problema è: come fare in modo che il contribuente si accorga di quei soldini extra che il fisco gli fa trovare nello stipendio, e possibilmente li usi per consumare di più alimentando così l’economia. Problema evidentemente non solo italiano (al culmine del suo decennio perduto il Giappone arrivò a recapitare buoni spesa ai suoi cittadini per convincerli a comprare) ma che i governi di casa nostra si sono trovati ad affrontare più volte negli ultimi anni, quasi sempre con risultati un po’ diversi da quelli desiderati. In questi giorni in cui si parla di riduzione del cuneo fiscale il pensiero di molti è corso al 2006-2007, quando il governo Prodi tentò un’operazione analoga che per la parte relativa ai lavoratori dipendenti si concretizzò in una revisione di aliquote e detrazioni Irpef. Strada facendo prese però la forma di una redistribuzione con una soglia ben precisa, 40 mila euro di reddito annuo: chi era al di sotto doveva ottenere un vantaggio più o meno intenso, a chi invece guadagnava di più si chiedeva un sacrificio.
ESITO DISASTROSO
Al di là delle intenzioni, l’esito fu disastroso. I presunti ricchi, irritati di sentirsi additare come tali, presero buona nota degli aggravi, mentre coloro che dovevano beneficiare del riassetto fecero fatica a notare quei pochi euro al mese in più in busta paga (anche perché l’intervento era stato diviso tra Irpef vera e propria e assegno al nucleo familiare) e si unirono al generale senso di delusione. Probabilmente memore di quella esperienza, l’esecutivo Letta tenta ora di solleticare il lavoratore-contribuente, concentrando in un solo mese, a quanto pare giugno, l’effetto annuale dell’incremento della detrazione pari in media a 150-180 euro. Basterà a smuovere la sonnolenta propensione al consumo degli italiani? Difficile dirlo; la teoria economica avverte che le famiglie - al pari delle imprese - sono sensibili non solo al presente ma anche a quanto temono o sperano per il futuro. L’ideale insomma sarebbe convincere tutti che gli sgravi fiscali sono non solo visibili, ma anche permanenti e possibilmente destinati a crescere. Con questa idea in testa, la tentazione di correre a cambiare il frigorifero potrebbe essere davvero forte; altrimenti, è probabile che prevalga la prudenza e dunque la voglia di risparmiare per il futuro la somma extra, se non è già stata assorbita dalle necessità quotidiane.
Nella storia recente, la volontà dei governi di creare uno stimolo economico visibile si è mescolata inevitabilmente con quella di imprimersi nella memoria dell’elettore. E qui torna il tema della cifra tonda. Alla fine del 2000 l’esecutivo Amato, approvando la rimodulazione dell’Irpef per l’anno successivo, anticipò lo sconto a dipendenti e pensionati con la tredicesima: 350 mila lire dell’epoca. Soldi che non bastarono a salvare il centro-sinistra dalla sconfitta elettorale.
Due anni dopo, all’inizio del 2003, l’allora ministro Tremonti attraverso l’Agenzia delle Entrate arrivò a minacciare sanzioni per i datori di lavoro che non applicavano correttamente fin dallo stipendio di gennaio le nuove ritenute, comprensive degli sgravi Irpef appena decisi. In quei giorni, il governo aveva anche comprato pagine di pubblicità sui giornali per spiegare l’operazione. Il beneficio medio era di 226 euro, 17-18 al mese: gli italiani li presero ma senza fare troppi salti di gioia.