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Data: 18/10/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Invim, Imu, Trise: il valzer delle tasse scioglilingua

Un senso di potere che le sigle contengono implicitamente, perché ogni iniziale nasconde un’informazione. Quella che giornalisticamente divenne negli anni ’70 e ’80 la giungla tributaria è innanzitutto una giungla lessicale.
GIUNGLA DI NOMI

Prendiamo le tasse sulla casa, una miniera per le casse dello Stato. Nel 1972 apparve l’Invim – un nome vagamente detersivo (ricordava il Vim Clorex, grande protagonista della vita domestica e della pubblicità di quegli anni) – che stava per Imposta sull’Incremento del Valore degli Immobili. Colpiva le vendite o l’aumento di valore dei beni immobili dopo dieci anni di proprietà. L’Invim convisse brevissimamente con l’Ici, Imposta Comunale sugli Immobili che fu istituita nel 1992, e che la assorbì.
Nata con il nome di provvisorio Isi – la S stava per straordinaria – si stabilizzo, come accade per altre tasse, poi come Ici, e così si è chiamata per quasi vent’anni. L’Ici cominciò lentamente a morire nel 2006, quando nella prima campagna elettorale contro Romano Prodi, Silvio Berlusconi annunciò di voler eliminare la componente sulla prima casa. L’anno successivo, Prodi – vincitore nel 2006 e presidente del Consiglio – la ridusse. Nel 2008 Berlusconi, tornato a palazzo Chigi, eliminò del tutto la parte dell’imposta che gravava sulla prima casa. Ma la questione è ancora calda.
IL FRONTE CASA

Nel 2011 l’Ici è stata sostituita dall’Imu, imposta municipale propria o unica, che assorbe anche la componente immobiliare dell’Irpef (di Irpef parliamo dopo). Con un gettito di 23,7 miliardi di euro, di cui 4 dalla prima casa, l’Imu è stata la grande protagonista della campagna elettorale del 2012, in una alquanto noiosa girandola di rilanci propagandistici da parte di tutti i partiti in lizza. E resta ancora protagonista dello scontro sui saldi della legge di stabilità, anche adesso che non si chiama più Imu, ma sarà sostituita (o assorbita?) da una nuova tassa la Trise.
RIFIUTI E DINTORNI

Su questo acronimo si è molto ironizzato. In tv lo ha fatto Maurizio Crozza, ma anche Giulio Tremonti (non senza peccato nel campo degli acronimi, avendo tenuto a battesimo l’Ires, l’Imposta sul Reddito delle Società, di cui più avanti). Secondo Tremonti, la Trise diventerà la Triste. Per il momento la sigla sta per Tributo sui Servizi Comunali.
A rendere la cosa più fumosa, la Trise sarà composta da due sub-tributi: a) la prima con un vago sapore di Germania Est, si intitola Tasi, cioè Tassa sui Servizi Indivisibili, sostanzialmente una tassa sul valore catastale dell’immobile; b) la Tari, cioè la Tassa sulla Raccolta dei Rifiuti che si è chiamata Tares per l’anno 2012 (Tassa Rifiuti e Servizi, affettuosamente detta anche soltanto Res), e che fino all’anno scorso si chiamava Tarsu, Tassa (per lo smaltimento dei) Rifiuti Solidi Urbani, in vigore dal 1993. Per completare l’assurdità di questo quadro fiscale sui rifiuti, va aggiunto anche che a un certo punto la Tarsu si biforcò in Tia1 e in Tia2, Tariffa di Igiene Ambientale.
IMPRESE NEL MIRINO
Nel fantastico mondo degli acronimi fiscali, c’è tutto il romanzetto sulle imprese. Nel 1973, con la riforma del sistema tributario, compare l’Irpeg, Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche. Nel 2004 è stata sostituita dall’Ires, imposta sul reddito delle società: quasi 36 miliardi di gettito nel 2011, terza imposta per ricchezza nel sistema fiscale italiano. Ma le imprese devono vedersela anche con l’Irap, Imposta Regionale per le Attività Produttive, quarta per gettito con 34 miliardi nel 2011. Gli imprenditori danno all’acronimo un altro significato, Imposta RAPina. Fu introdotta dal primo governo di Romano Prodi, e assorbì una serie di altre imposte tra cui Ilor (Imposta Locale sui Redditi) e Iciap (Imposta Comunale, Imprese, Arti e professioni). L’introduzione dell’Irap costò a Vincenzo Visco, il ministro delle Finanze che la varò, tutta una simbologia vampiresca.
E in generale costò al centro sinistra una diffidenza fiscale da parte del mondo delle imprese che non è mai stata superata. La giungla lessicale dell’imposizione fiscale sulle imprese è estremamente intricata. La Tosap, per esempio, che nel suono ricorda antiche attività di alleggerimento degli animali a pelo lungo, sta per Tassa Occupazione Spazi e Aree Pubbliche.
Più stabili – e quindi più comprensibili e familiari – sono l’Irpef e l’Iva. Sono le due imposte principali. La prima, diretta, è l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche. È la principale voce di entrata per lo Stato. Nel 2011 ha fruttato 164 miliardi di gettito. Con questo nome esiste dal 1973. L’Iva, la principale delle imposte indirette, è la seconda voce di entrata per lo Stato. Vale 117 miliardi di euro (dati 2011).
CONSUMI

L’acronimo sta per Imposta sul Valore Aggiunto. E qui il problema più che nell’acronimo sta nella definizione di valore aggiunto: che è – per semplificare – il contributo del lavoro o del capitale al successo di un processo produttivo. In sostanza, come tutti sanno, è un’imposta sui consumi. Irpef e Iva sono soggette all’elastico del negoziato politico e della rappresentanza degli interessi. Le aliquote diventano un terreno di grande battaglia, ma è una battaglia aperta, dove è difficile bluffare perché tutti sanno di che cosa si parla.
Sull’Iva la competizione politica (fatta di solito di concessioni di regimi speciali) è simile a quella commerciale. Quest’anno la campagna pubblicitaria italiana di un costruttore automobilistico giapponese, è tutta incentrata sullo sconto fiscale, in un gioco di parole tra il nome dell’imposta e il nome della moglie dell’acquirente, che si chiama anche lei Iva.
In questo burocratico gioco di sigle, c’è anche il complicato mondo della modulistica fiscale. Per esempio, l’F-24 non è un cacciabombardiere, anche se esiste un gioco da consolle che è una via di mezzo tra il simulatore e i cosiddetti «sparatutto». Mentre il modello 740 il più utilizzato formato per la dichiarazione dei redditi (pre Unico) era anche il nome di un’automobile mitica: un modello che rilanciò il marchio svedese Volvo e fu un’auto simbolo degli anni ’80. Ma questa è davvero tutta un’altra storia.

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