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Data: 20/10/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Mediaset, due anni di interdizione per Berlusconi. Alfano: tutti con lui. Così l’ineleggibilità ai sensi della Severino cala da 6 a 4 anni

MILANO E’ stato un processo lampo, il più breve nell’articolata storia giudiziaria di Silvio Berlusconi. In due ore i giudici della terza corte d’Appello di Milano presieduti da Arturo Soprano hanno aperto il procedimento, si sono riuniti in camera di consiglio e hanno pronunciato il verdetto: due anni di interdizione dai pubblici uffici per il Cavaliere, come chiesto dal procuratore generale Laura Bertolè Viale. «Impugneremo la sentenza, non avrebbe dovuto trovare applicazione nessuna misura interdittiva. Presenteremo nuovamente appello in Cassazione», annuncia l’avvocato Niccolò Ghedini.
11 MILIONI AL FISCO
Il primo agosto la Cassazione ha condannato Berlusconi a quattro anni, di cui tre coperti dall’indulto, per frode fiscale nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset, annullando però la pena accessoria a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici (che comporta la decadenza da parlamentare) e imponendo alla corte d’Appello di ridefinirla in un intervallo compreso tra uno e tre anni. Secondo l’accusa, così come la pena principale era stata calcolata in due terzi della pena massima, il medesimo principio deve valere per la pena accessoria. La difesa invece, sottolineando l’età avanzata del Cavaliere e il fatto che sia incensurato, ha chiesto il minimo della pena e con una mossa a sorpresa ha tentato di convincere il collegio a sospendere il processo e inviare gli atti alla Corte Costituzionale. Due le eccezioni sollevate dai difensori. La prima è sulla legge Severino, che prevede in caso di condanna l’interdizione e l’impossibilità a candidarsi per un periodo fisso di sei anni. Sostiene Ghedini: il valore retroattivo della legge è «incostituzionale» e inoltre costituisce un doppione della pena accessoria dell’interdizione già prevista dal codice penale. Insomma, siamo in presenza di «un difetto di omogeneità tra le due norme», come lo definisce l’avvocato Roberto Borgogno, che in aula ha sostituito Franco Coppi. La seconda riguarda la costituzionalità dell’articolo 13 della legge speciale numero 74 del 2000, nella parte in cui prevede che non si applichino le pene accessorie qualora sia intervenuta un’adesione all’accertamento fiscale. «Mediaset ha versato a settembre 11 milioni di euro per le due annualità, 2002 e 2003, relative alla frode fiscale contestata al leader del Pdl», spiega Ghedini. Per i legali si è dunque creata una situazione di disparità di trattamento tra i dirigenti Mediaset, che con l’adesione evitano la condanna all’interdizione, e Berlusconi, a cui invece è preclusa dal momento che in quel periodo non aveva più alcun ruolo decisionale in azienda. Ora i giudici hanno quindici giorni di tempo per depositare le motivazioni, poi l’ex premier ha 45 giorni per presentare il ricorso in Cassazione che verterà sia sulla pena accessoria che sulle due questioni di costituzionalità. La decisione definitiva potrebbe arrivare all’inizio del 2014.
AL FIANCO DEL CAVALIERE
Nel frattempo il Pdl si compatta attorno al suo capo. Riferisce il segretario Angelino Alfano: «Ho sentito al telefono Berlusconi. Il nostro leader è forte e determinato come sempre. Siamo tutti con lui, impegnati nella ricostruzione di un centrodestra moderno, competitivo. Il nostro progetto non sarà toccato da una sentenza che non priverà un leader del suo popolo e quel popolo del proprio leader». Ma per il vice presidente del Csm Michele Vietti non c’è nulla di straordinario nel verdetto della corte d’Appello: «In un Paese normale tocca al potere giudiziario applicare le regole che il potere politico scrive. Evitiamo di scaricare sui magistrati i nodi del sistema politico». Affermazioni che non piacciono al Pdl, a cominciare dal suo coordinatore Sandro Bondi: «Denotano la totale incoscienza dei problemi afferenti al rapporto fra l’ordine della magistratura e la democrazia».

Così l’ineleggibilità ai sensi della Severino cala da 6 a 4 anni
Lo sconto effetto dell’art.13 della legge anticorruzione: vale il doppio della pena accessoria

ROMA I due piani paralleli - dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incandidabilità sopravvenuta per effetto della legge Monti-Severino - stavolta potrebbero incontrarsi. Non all’infinito, ma probabilmente in dicembre, o al massimo all’inizio del prossimo anno. Intanto la decisione di ieri della Corte di Appello di Milano, che ha ridotto da tre a due anni il periodo in cui Silvio Berlusconi non potrà più esercitare il diritto di elettorato attivo e passivo, un primo effetto, a lui meno sfavorevole, l’ha comunque prodotto: se i due anni di interdizione dai pubblici uffici saranno confermati anche dalla Suprema Corte, il Cavaliere sarebbe incandidabile non più per sei anni ma per i prossimi quattro. Per la precisione fino al 2017, quando avrà 82 anni. Lo ”sconto” di due anni è una conseguenza della legge Monti-Severino, di cui il Pdl torna a chiedere al governo Letta un’interpretazione che precluda l’applicazione retroattiva della norma. All’art.13, infatti, la legge prevede che l’incandidabilità parlamentare abbia effetto a partire dal passaggio in giudicato della sentenza e per un «periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici». A conti fatti, dunque, non più sei ma quattro anni.
LA STRATEGIA
La magistratura, con il ricalcolo compiuto ieri dalla Corte di Appello di Milano, è indubbiamente arrivata prima della politica, arenatasi nella Giunta per le immunità di Palazzo Madama in una diatriba sul voto palese o segreto per la decadenza di Silvio Berlusconi. Ma una volta sciolto il nodo della segretezza del voto d’Aula, il piano politico e quello giudiziario torneranno ad intersecarsi. Il professor Franco Coppi non era presente a Milano perché, sembra, influenzato, ma accanto a Niccolò Ghedini siedeva uno dei più fidati avvocati del suo studio, Roberto Borgogno. La strategia della difesa, a questo punto, consisterà non solo nel far scendere l’interdizione da due anni al minimo di uno, ma anche nel riproporre in Cassazione la questione di incostituzionalità della legge Monti Severino, da ritenersi illegittima perché moltiplicherebbe gli effetti della pena accessoria.
I TEMPI
La differenza non è di poco conto: se valesse solo il periodo dell’interdizione temporanea di due anni (o meglio ancora, se la Cassazione l’abbassasse ad uno) Berlusconi resterebbe fuori dal Parlamento al massimo fino a 2015. Con la legge Severino, invece, si arriva al 2017 o inizio 2018. Ma le variabili sono numerose: il Senato voterà a scrutinio palese o segreto? L’Aula solleverà o meno questione di costituzionalità della legge sull’incandibilità? Le prima risposta arriverà il 29 ottobre, quandola la Giunta del Senato dovrà sbrogliare il nodo segretezza del voto. A quel punto toccherà all’Aula, che però potrebbe slittare da novembre a dicembre a causa della sessione di bilancio. Tra dicembre e gennaio, infine, la parola spetterà alla Cassazione. Mentre non prima di marzo il Tribunale di Sorveglianza di Milano deciderà sull’affidamento in prova ai servizi sociali del Cavaliere per l’anno che gli rimane da scontare sui quattro della condanna Mediaset. Sempre che, nel frattempo, non intervenga un nuovo indulto. Tante, troppe variabili sull’accidentata strada giudiziaria del Cavaliere.

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