ROMA Futuro del governo e atteggiamento del partito nella battaglia sulla decadenza di Berlusconi, appaiono i temi centrali del day after alla decisione del Cavaliere di azzerare il Pdl e andare a una nuova Forza Italia le cui redini siano esclusivamente in mano sua. In vista del decisivo Consiglio nazionale dell’8 dicembre, lealisti e governativi si fronteggiano da posizioni difficilmente conciliabili. I primi con un coro di dichiarazioni pro-Silvio, nelle quali non manca mai il richiamo alla necessità di opporsi alla sua estromissione dal Parlamento. I secondi mettono al centro dei futuri equilibri le sorti del governo. Lo fa in particolare Gaetano Quagliariello che, sottolineata la «distanza nel metodo e nella linea politica» messa in luce dall’assenza di Alfano al vertice di venerdì, afferma che tra i due schieramenti del Pdl «il nodo di fondo è uno, ed è quello del governo. Alcuni - osserva il ministro delle Riforme - pensano che debba andare avanti, perché una crisi sarebbe devastante. Altri, invece, pensano che questo governo non stia facendo i bisogni del Paese».E qui Quagliariello introduce l’elemento più lacerante nei confronti dei lealisti, rilevando che nel documento votato all’unanimità dall’Ufficio di presidenza c’è «una contraddizione», perché «da un lato si dice che il governo deve andare avanti e dall’altro si dice che la giustizia può diventare dirimente» in caso di voto per la decadenza di Berlusconi. Per il ministro, invece, il Cavaliere «va sì difeso, ma la battaglia per la giustizia e la stessa difesa di Berlusconi non può essere scaricata sul Paese». Ne risulterebbe, secondo Quagliariello, «uno scenario molto grave per il Paese, per il centrodestra e lo stesso Berlusconi».
DADO TRATTO
Più o meno gli stessi argomenti usano gli altri «ammutinati» del Pdl - così li chiama Alessandra Mussolini che parla di «dado ormai tratto» da Berlusconi e di «processo irreversibile» verso la nuova FI - con Giovanardi e Cicchitto che si rifiutano di considerare sciolto il Pdl, rinviando la decisione al Consiglio nazionale dove, dice l’ex capogruppo azzuro, «non è certo ci sia la maggioranza sufficiente».
Sul fronte opposto, dove - in sintonia con l’intima convinzione del Cavaliere verso i «traditori» - si considera come ormai consumata la scissione dei governativi, si plaude alla decisione di Berlusconi, per cui, sostiene Daniela Santanchè, «oggi gli elettori liberali di centrodestra hanno una certezza: una forza orgogliosa è tornata più motivata che mai a difendere i valori della giustizia giusta e della libertà d’impresa». Per Daniele Capezzone, «la giornata di venerdì segna un passaggio di enorme importanza, con il ritorno a Forza Italia e alla centralità del leader Silvio Berlusconi». Chi ancora sembra tenere «all’unità del Pdl», come Altero Matteoli, afferma che, comunque, questa «la si deve raggiungere nella chiarezza. Se solo fosse di facciata non servirebbe a nulla. Decisiva è la chiarezza, a cominciare dal riconoscimento della leadership di Berlusconi e della sua difesa sul piano giudiziario». Anche un falco come Nitto Palma sostiene che da qui al Cn dell’8 dicembre «c’è molto lavoro da fare per evitare che questa frattura si allarghi e diventi qualcosa di incolmabile». Proposito che però, finora, sembra tradursi solo nel lavoro che ventre a terra stanno facendo i lealisti per la raccolta firme su un documento di totale appoggio al Cavaliere: obiettivo almeno quota 600, su un totale di 800 membri del Cn.