ROMA «Ma quale scissione, voglio l’unità», garantisce Angelino Alfano il giorno dopo essere stato azzerato e sospeso insieme a tutto il Pdl da Silvio Berlusconi.E il ministro Maurizio Lupi, esattamente come Renato Schifani o molti altri “governativi” accusati di tradimento dal Cavaliere, si unisce al coro: «Mai contro Silvio, è lui il nostro leader».
La verità è che nel day after dello psicodramma di palazzo Grazioli, in cui Berlusconi ha deciso di riprendere titolo e ruolo di Grande Capo («Sono stufo di finire solo nelle cronache giudiziarie, voglio essere protagonista della politica. Voglio dimostrare che comando io», ha confidato), le colombe si presentano divise. Alfano, Nunzia De Girolamo, Schifani, Lupi faticano a rompere il cordone ombelicale con il Cavaliere, il padre padrone. Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Roberto Formigoni, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Sacconi, Carlo Giovanardi hanno invece già le valige pronte. Loro, al contrario di Angelino & C, il percorso di affrancamento da Re Silvio l’hanno compiuto.
A ben guardare, solo un eventuale affondo di Berlusconi contro il governo potrebbe ricompattare le colombe. Se il Cavaliere - come ha fatto capire («non si può governare con il Pd se mi caccia ingiustamente dal Parlamento») - al momento della decadenza dovesse tentare di nuovo di far cadere Letta, i “governativi” potrebbero ritrovare la loro ragione sociale. In nome della governabilità e della stabilità. E sotto l’ombrello del Quirinale. «Per il resto», dice una parlamentare molto vicina ad Alfano, «Angelino non andrà mai contro Berlusconi. Per una questione di affetto, una sorta di rapporto filiale. Ma anche perché il tentativo di tenere in vita il Pdl è perdente: i voti li ha Silvio e i soldi li ha sempre lui. Senza contare che il Pdl è carico di debiti e sta per portare i libri in tribunale». «In più», osserva Lupi, «l’idea di creare un centrino è perdente». Come dire: ci teniamo stretti Berlusconi e non andiamo a cercare casa insieme a Mario Mauro e ai centristi. Sempre che Berlusconi, alla fine, non decida di cacciare tutti i “traditori”.
DUELLO TRA NUMERI DUE
Insomma, se al Consiglio nazionale dell’8 dicembre conta sarà, «sarà una conta tra i numeri due, assodato che di numeri uno c’è solo Silvio», afferma la ministra De Girolamo. Da una parte Angelino, che in queste ore culla (con un eccesso d’ottimismo) la promessa di Berlusconi di confermarlo «nel ruolo» una volta che sarà nata la Nuova Forza Italia. Dall’altra Raffaele Fitto e i falchi incarnati da Daniela Santanché, Denis Verdini, Niccolò Ghedini. In mezzo, appunto, Berlusconi.
E se Alfano non può festeggiare, non possono brindare neppure i lealisti. «Con questo azzeramento non ci sono più coordinatori e responsabili di settore. Senza necessità di provvedimenti punitivi, non ho più un sacco di gente tra i piedi. Potrò mettere gente nuova, di mia fiducia nei ruoli chiave», ha confidato soddisfatto il leader rinato dopo aver proceduto al colpo di spugna su tutti gli incarichi. Insomma, l’epurazione riguarda tutti. Compresi Santanché, Sandro Bondi e Verdini che del Pdl sono, rispettivamente, responsabile organizzativo e coordinatori. Alfano, «finché il governo dura», si tiene il ruolo di vicepremier e di ministro dell’Interno.
Ciò detto, nella battaglia da qui all’8 dicembre per cercare di essere nuovamente “nominato” dal Grande Capo, Alfano si tiene stretta la sua squadra. Anche i Formigoni e i Quagliariello servono a fare massa critica, visto che per cambiare lo statuto serve una maggiorana dei due-terzi e dato che il Consiglio nazionale si annuncia come un terno al lotto. «Si tratta di ottocento persone nominate tre anni fa», osserva sconsolato il “pontiere” Altero Matteoli, «nessuno sa bene chi siano e cosa pensano. In tre anni tutto è cambiato...».
Il posizionamento e il rastrellamento sono già scattati. Sia i falchi che le colombe hanno cominciato a prendere contatto con gli Ottocento. Si scrivono documenti e si cercano firme in calce. La squadra di Fitto si limita a consacrare la nascita di Forza Italia e la leadership di Berlusconi. Quella di Alfano avanza richieste decisamente più indigeste per il Cavaliere: vuole un segretario (potrà andar bene anche un vicepresidente...) con «deleghe effettive», chiede un «sostegno chiaro al governo». Si spinge fino a chiedere «cariche scelte dal basso» attraverso le primarie. Ma è chiaro che deciderà Berlusconi. Sempre lui. E la storia potrebbe concludersi con Angelino nel ruolo che fu di Gianfranco Fini: «Che fai?! Mi cacci?».