ROMA Da anni è considerato un po’ come l’enigma della Sfinge. Il quesito che ha fatto arrovellare molte menti economiche del Paese: quanto vale davvero la Banca d’Italia? La risposta a questa domanda sta per arrivare. E insieme potrebbe forse risolvere anche un altro rebus, quello della caccia del governo alle risorse necessarie a tagliare la seconda rata dell’Imu, quella di dicembre. I tre saggi incaricati dal governatore Ignazio Visco di stabilire, una volta per tutte, il reale valore delle quote dell’istituto di via Nazionale, avrebbero terminato il loro lavoro.
Il documento riservato redatto dall’ex presidente della Corte Costituzionale Franco Gallo, dall’ex vice presidente della Bce Lucas Papademos e dal rettore della Bocconi, Andrea Sironi, sarebbe sul tavolo del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. I contenuti potrebbero emergere già oggi durante le audizioni in Senato sulla legge di Stabilità dello stesso ministro e del vice direttore generale della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini, anche su sollecitazione di alcuni senatori.
I rumor della vigilia, parlano di una possibile valorizzazione dell’istituto centrale tra i 7 e i 10 miliardi di euro, contro gli attuali 156 mila euro. Cifre elevate, ma molto distanti da quelle (fino a 25 miliardi) ipotizzate dal capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, che sulla rivalutazione delle quote Bankitalia ha costruito una contro-manovra.
UNA PARTITA DOPPIA
Stabilire il nuovo valore dell’istituto centrale è una partita che ha una duplice valenza. Innanzitutto permetterà alle banche, principali azioniste di Via Nazionale, di aumentare il loro patrimonio senza dover far ricorso ad un aumenti di capitale. Se l’operazione fosse chiusa entro quest’anno consentirebbe agli stessi istituti di affrontare con un asso in più nella manica la partita gli stress test della Banca centrale europea. Ma a beneficiare della rivalutazione delle quote sarebbe anche il Tesoro.
Sulla rivalutazione delle quote il Fisco applicherà un prelievo. Ieri, ascoltato in audizione in Senato, il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, ha chiesto al governo di tassare il maggior valore delle quote della Banca d’Italia con la stessa aliquota prevista nel testo della legge di stabilità per la rivalutazioni delle partecipazioni delle imprese. Si tratterebbe, in pratica, di un prelievo del 16%. Nel caso in cui il valore finale di via Nazionale si attestasse nella parte alta della forchetta, ossia 10 miliardi di euro, l’incasso per lo Stato sarebbe di 1,6 miliardi. La stessa cifra che solo qualche giorno fa aveva ipotizzato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, calcolando tuttavia un valore più basso delle quote (8 miliardi), ma un’aliquota fiscale più alta (20%). Come potranno essere usate queste maggiori risorse? Anche qui molto dipende dalla velocità di marcia del governo. Se l’operazione fosse portata a termine entro l’anno, oltre a consentire una patrimonializzazione delle banche in tempo utile per gli stress test, permetterebbe al Tesoro di incassare risorse fresche da destinare a misure immediate.
Si tratterebbe comunque di incassi una tantum, che non potranno essere usati per interventi strutturali. Una delle ipotesi è che l’incasso possa essere usato per il taglio della seconda rata dell’Imu, anche se su questo ci sarebbero i dubbi della Ragioneria Generale.