PESCARA È agosto scorso il mese chiave dell’operazione Tercas-Popolare Bari. Mentre l’Italia è in ferie e le fondazioni abruzzesi ancora lavorano al piano di messa in sicurezza della cassa teramana e della controllata Caripe, trecento chilometri più a sud accadono due cose che oggi assomigliano ad altrettanti indizi della scalata al santuario del credito abruzzese. Primo indizio: Bankitalia dichiara chiusa la sua ispezione sulla Banca popolare di Bari avallando sostanzialmente i piani di crescita dell’istituto guidato da Vincenzo De Bustis, banchiere di solide relazioni come dimostra fra l’altro il salvataggio della sua Banca 121 ad opera di Mps, operazione pesata all’epoca oltre duemila miliardi di lire. Passano pochi giorni e Popolare Bari annuncia sui giornali l’interesse strategico alla rottura dei confini regionali attraverso quattro linee d’attacco. La principale conduce al matrimonio con la Popolare di Puglia e Basilicata, le subordinate mettono sullo stesso piano Banca Marche, Tercas, e Cassa di risparmio di Spoleto. È il secondo indizio.
Ora, basta riflettere sulla sproporzione con Banca Marche, sul conflitto territoriale che Spoleto aprirebbe con la Cassa di Orvieto, già sotto il controllo di Bari dopo lo scippo del 2008 a danno, guarda un po’, di Tercas, per capire quale sia la vera vittima designata.
Il problema è che ad agosto è ancora il Credito valtellinese il più accreditato partner industriale del salvataggio di Tercas. E sono ancora le fondazioni a rivendicare la regìa dell’operazione. Finiscono le ferie e, a inizio ottobre, il presidente di PescarAbruzzo, la ex fondazione di controllo di Banca Caripe, conferma la preparazione di un’iniziativa per salvaguardare la territorialità del primo gruppo bancario della regione. Lo scenario cambia rapidamente nel giro du un paio di settimane, prima con il disimpegno di Creval, poi con la sospensione ufficiale della fusione con Popolare di Puglia e Basilicata da parte del cda di Popolare Bari.
Su cosa può essere accaduto, da ieri si esercitano in molti, specialmente sull’asse Pescara-Teramo. La ricostruzione più credibile attribuisce a Bankitalia la paternità della svolta. Dopo il no di Creval, per via Nazionale si è posto il problema di individuare in tempi brevi un nuovo partner industriale per la nuova stagione di Tercas: condizione vincolante, da sempre, per la chiusura della parentesi commissariale. Per prossimità, salute del portafoglio, ma anche per il peso specifico di De Bustis, il nuovo partner sarebbe stato individuato in Bari. A confermarlo non è soltanto l’annuncio di una nuova ispezione di Bankitalia, stavolta finalizzata a certificare le condizioni per un’acquisione importante. A confermarlo è soprattutto l’improvvisa generosità del Fondo di garanzia interbancaria, che sarebbe pronto a sostenere l’acquisto di Tercas con un assegno di 280 milioni, circa quattro volte di più di quanto promesso alle fondazioni abruzzesi. Un budget che unito ad un aumento di capitale da circa 180 milioni recentemente incassato da Popolare Bari metterebbe sul tavolo quanto basta per coprire i trecento e passa milioni dell’operazione, più il rischio di eventuali sorprese che potrebbero saltar fuori dalla pulizia finale dei conti teramani. Resta da citare che la sostanziale parità di dimensioni (160 sportelli del gruppo Tercas contro i 200 di Bari) determina le condizioni ideali per l’acquisizione.
Visto dalla prospettiva abruzzese non è un bello scenario. Anzi, assomiglia molto alla perdita dell’ultimo treno per la creazione del polo bancario regionale. A meno che, riflettono gli ultimi ottimisti, le fondazioni non trovino risorse e coraggio per imporre a Bari, almeno, una partnership importante. Un ruolo ancillare che, però, non sembra entusiasmare i nostri forzieri bancari.