ROMA «Il voto sulla mia decadenza sarebbe una macchia sulla democrazia italiana destinata a restare nei libri di storia». Lo afferma, nel consueto libro natalizio di Bruno Vespa, Silvio Berlusconi, che nella sua esclusione dal Parlamento vede uno dei «due punti non aggirabili» - l’altro è la modifica della legge di stabilità laddove prevede nuove tasse - per la continuazione del governo delle larghe intese. Definendosi vittima di «una sentenza politica» il Cavaliere chiede apertamente un intervento di Enrico Letta. «Segnalo che il governo, se volesse,- avverte - avrebbe un’autostrada per risolvere il problema: è tuttora aperta la ”legge delega“ sulla giustizia, e basterebbe approvare una norma interpretativa di una riga che chiarisca la irretroattività, la non applicabilità al passato della legge Severino. Letta dica sì o no», è l’ultimatum dell’ex premier.
Linea dura, dunque, rilanciata dallo stesso Cavaliere nel momento in cui il Pdl era sembrato ritrovare una qualche unità. Più di facciata che di sostanza, però, dal momento che il documento delle colombe, di cui Alfano aveva smentito l’esistenza, viene rilanciato da Roberto Formigoni. «Il documento, su cui stiamo raccogliendo le firme, c’è e sarà presentato al Consiglio nazionale. Noi puntiamo alla maggioranza del partito. Siamo convinti di potercela fare e che accadrà come il 2 ottobre scorso sulla fiducia al governo: Berlusconi, di fronte alle nostre argomentazioni, numeri e aderenti, ragionerà sulle nostre proposte», dice l’ex governatore lombardo, che non vuole sentir parlare di marcia indietro alla luce delle dichiarazioni del giorno prima di Alfano. E puntualizza che il documento dei governativi, che però ancora non è stato firmato dal segretario Alfano, confermerà «la fiducia all’esecutivo, con questi ministri, fino alla primavera 2015» e riconoscerà «la leadership di Berlusconi su un partito che, però, sia integralmente democratico, e quindi primarie per tutti». Le polemiche dei giorni scorsi non sembrano dimenticate anche da Fabrizio Cicchitto, che le definisce figlie di «un settarismo che non tollera posizioni diverse e che arriva a dare del ”traditore“ ad Alfano per evitare un serio confronto politico».
DISTANZE
A cercare di accorciare le distanza tra lealisti e ”innovatori“ rimane impegnato il gruppetto dei pontieri, capitanati da Renato Schifani. Il capogruppo al Senato, convinto che «nessuno nel Pdl vorrà dare a Matteo Renzi il grandissimo vantaggio di una scissione del partito», si riserva di esaminare il documento proposto da Formigoni e non sembra voler drammatizzare fino a dare per scontata la rottura dell’alleanza neppure di fronte alla decadenza del Cavaliere: «Nel caso - dice Schifani - decideremo con Berlusconi, tutti insieme. Sicuramente riuniremo i gruppi del Pdl alla sua presenza, ne parleremo e troveremo una soluzione unitaria». Il capogruppo mediatore non esita però a scagliarsi - il solo tra le colombe - contro le motivazioni diffuse ieri della Corte d’Appello di Milano sull’interdizione di Berlusconi, definendole «un ennesimo segnale che la persecuzione giudiziaria contro il nostro leader prosegue senza sosta, con tempistiche e velocità incredibili, non riscontrabili nella storia della giustizia italiana». Ancora più pesanti i commenti di un largo stuolo di lealisti, tra i quali Daniela Santanché ultimativamente conclude che, «dopo aver subito l’inaccettabile accanimento giudiziario nei confronti di Berlusconi, ora non è più possibile stare fermi a subire anche l’accanimento politico di alleati coi quali dovremmo governare il Paese e che hanno il solo obiettivo di estromettere dalla politica il nostro leader ».