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Data: 31/10/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
L’ira di Silvio: farò opposizione. Manovra, Letta apre ad Alfano. Caos Pdl, i ministri: sopruso ma lasciamo fuori il governo

ROMA Fedele Confalonieri e i figli hanno provato a fermarlo: «La crisi di governo sarebbe un danno per te e per le aziende». Angelino Alfano e Gianni Letta hanno tentato di calmarlo: «La spallata non servirebbe a nulla. Tanto più che la decadenza è già decisa dalla pena accessoria per la sentenza Mediatrade, non dal voto del Senato». Tutto inutile. Silvio Berlusconi, nel «giorno della vergogna», «della violazione di prassi e regolamenti», «della forca alzata dal Pd», non ha voluto ascoltare parole prudenti.
LA STRATEGIA DI SILVIO

Il Cavaliere è descritto «prostrato», «amareggiato», «a volte poco lucido». «Decisamente incazzato». «Determinato a sfasciare tutto». Meglio: orientato a passare all’opposizione «anche se il governo resta in piedi grazie al voto dei traditori». Trentuno in Senato, 34 alla Camera, secondo l’ultimo borsino. «Se resto silente e ininfluente», ragiona il Cavaliere, «dopo la decadenza mi arrestano sicuro. Meglio, allora, chiamare la nostra gente in piazza, diventare il leader dell’opposizione che urla e strepita. In quel ruolo, per i pm sarà più difficile mettermi le manette. Sarebbe un attentato palese della democrazia agli occhi dell’Europa e del mondo». Insomma, torna lo schema alla Julija Timoshenko, la pasionaria ucraina. «Io quella fine non la faccio».
Strategia a parte, nel mirino di Berlusconi c’è Giorgio Napolitano «che ha consentito una smaccata violazione di un principio di civiltà costituzionale». C’è Enrico Letta «che fa il pesce in barile e trama con i traditori». Ci sono, naturalmente Alfano e i ministri del Pdl: «Dicono che sono il capo, che mi difendono. Balle». E duro è stato anche martedì notte con Angelino che era andato a chiedergli di non far cadere il governo. «Devi scegliere, dentro o fuori», ha tuonato Silvio, «devi dire se stai con me o contro di me. Non puoi essere leale a parole e fare ciò che ti pare».
C’è da dire che la mossa del Pd a favore del voto palese ha messo in difficoltà anche Alfano, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi, Nunzia De Girolamo. «Ora tutto è più difficile», racconta un ministro, «diventa più duro sganciarci: la forzatura del Pd è talmente grave che agli occhi dei nostri elettori rischiamo di apparire come gli amici dei nemici».
Eppure, nonostante la prudenza e «l’affetto» per Berlusconi anche per Alfano diventa arduo tornare indietro. «Ci ha voluto restituire lo schiaffone», ha detto il vicepremier al Cavaliere, «e guardi cosa ha ottenuto: l’ipotesi di grazia è svanita e ci sarà il voto palese. Noi con la fiducia del 2 ottobre abbiamo almeno guadagnato tempo sul voto per la decadenza». Parole al vento. Berlusconi ha gridato. Minacciato.
PROVA DI LEALTÀ

Così ieri, mentre Berlusconi convocava il lealista Raffaele Fitto, Alfano ha reagito andando da Letta insieme ai capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani per parlare di legge di stabilità. Per dimostrare che è ancora lui «la sentinella anti-tasse» che segue le indicazioni di Berlusconi. E infatti il Cavaliere ha benedetto l’iniziativa. Letta non ha alzato barricate. Anzi: ha dato «ampie garanzie» sulla rivisitazione della tassa sulla casa e sulla rimodulazione del taglio del costo del lavoro. «Come ho detto, la manovra verrà decisa dal Parlamento nel rispetto dei saldi». Sintesi di Brunetta: «Quello che non si è concordato prima, si concorderà adesso in un rapporto paritario. Del resto perfino Merkel tratta con i suoi alleati...».
Il premier - pur confermando che il vertice non rappresenta il ritorno della cabina di regia - intende dare una mano ad Alfano. Sa che se Angelino darà vita ai gruppi autonomi, verrà «finalmente delineato il recinto della nuova maggioranza». Più piccola, ma più compatta. Una condizione essenziale anche per il vicepremier: «Se nasce una maggioranza solida, anche se più esigua », dice un ministro Pdl, «per Renzi sarà impossibile aprire la crisi a gennaio. Non potrebbe fare questo affronto a Napolitano. Noi abbiamo i numeri: chi ha firmato il documento del 2 ottobre sa bene che non sarà ricandidato da Berlusconi. Neppure morto. Dunque non si torna indietro».

Caos Pdl, i ministri: sopruso ma lasciamo fuori il governo

ROMA Dopo la scelta del voto palese sulla decadenza di Berlusconi dal Senato, per la prima volta nel Pdl si parla di «scissione inevitabile». Nonostante il fuoco di fila di dichiarazioni di solidarietà con il leader, anche da parte della pattuglia di governo, la frattura appare «insanabile». E quanto sia profonda lo mostra plasticamente Berlusconi che, sempre più deluso e inferocito, annulla il pranzo già programmato con Angelino Alfano e i ministri Pdl, consapevole che l’ex delfino non vuole proprio mettere in crisi il governo Letta, anche se gli rinnova la sua solidarietà.
Poco per l’ex premier che scommette sulla fine delle larghe intese e si prepara a far cadere il governo. Non sulla legge di stabilità «perché così faremmo un favore alla sinistra». Ma qualunque altra occasione è utile, per esempio il decreto scuola, ragionano a palazzo Grazioli. A quel punto i ministri Pdl dovranno decidere se dimettersi o no. Poco importa che, in una nota, Alfano denunci «il sopruso che si è consumato con la violazione del principio di civiltà che regola il voto sulle singole persone» e che annunci che «in sede parlamentare sarà battaglia per ripristinare il diritto alla democrazia». L’allusione è alla possibilità che venti senatori chiedano di ripristinare il voto segreto. Non basta. A Berlusconi non sfugge che Alfano non lo voglia seguire sulla strada della crisi. Per questo decide di non vederlo per tutta la giornata. Anche se, raccontano, «solo di Angelino gli importa, gli altri non li considera neppure».
LE TENSIONI

Risultano perciò superflue le dichiarazioni di solidarietà di Lupi, della Lorenzin e di Quagliariello che avvisa: «Non cadiamo nella trappola di quel partito trasversale che vuole le elezioni perché con Renzi pensa di vincere facile».L’ex premier non ha più voglia di ascoltarli. E preferisce sfogarsi con i più falchi dei falchi, Verdini, Galan, Bondi che si flagella: «Fanno bene a trattarci così visto che ci limitiamo a belle dichiarazioni di facciata, più o meno sentite, invece di scendere in piazza come farebbe la sinistra se fosse sotto attacco il loro leader». Infine, in serata, arriva il capo dei cosiddetti lealisti, Raffaele Fitto, che cerca di convincere il Cavaliere ad accelerare il rilancio di Forza Italia anticipando il Consiglio nazionale del partito, fissato per l’8 dicembre. Tuttavia, tra i berlusconiani comincia a farsi strada l’ipotesi che la convocazione del parlamentino sia ormai superata dagli eventi. «Basterebbe leggere bene lo statuto del Pdl - spiega un fedelissimo di Berlusconi - per capire che le decisioni vengono prese, in realtà, dall’Ufficio di presidenza che, non a caso, Alfano e i suoi hanno disertato. Il tentativo è di renderlo inefficace per giocarsi la partita tra gli 800 del Consiglio nazionale, che devono solo ratificare la linea scelta».Intanto però governativi e lealisti hanno aperto la caccia per conquistare i membri dell’assemblea plenaria pidiellina. Due i documenti sui quali contarsi. I lealisti assicurano di avere il 75% degli 800 componenti. Gli alfaniani contano su 31 senatori, 34 deputati e 280 consiglieri nazionali. La verità però è che molti tra i berlusconiani più fedeli, come Mara Carfagna, ritengono il divorzio inevitabile. Le colombe invece limano il testo che mette in sicurezza il governo, sperando che Alfano vada davvero fino in fondo. Le sue dichiarazioni con quel forte riconoscimento della «leadership di Berlusconi» fanno infatti temere che possa fermarsi sulla soglia dello strappo definitivo.

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