ROMA Come il più classico dei gialli, il destino di Alitalia si deciderà solo all’ultimo istante, ovvero il 16 novembre, data in cui Air France dovrà scoprire la carte per la ricapitalizzazione. Sempre che non si vada ai tempi supplementari, magari con un clamoroso colpo di scena. Perché al momento scommettere su chi la spunterà sarebbe davvero un azzardo. I francesi, come noto, giocano al gatto con il topo. Non solo per mischiare le carte e confondere i potenziali rivali (da Etihad ai cinesi di Hna), ma anche perché c’è una profonda spaccatura nel board e all’interno dello stesso governo francese. Come dire che Alexandre de Juniac, il grande capo di Air France, deve fare i conti con i forti dubbi dell’Eliseo che prima di dare il via libera ha chiesto (e ottenuto) una serie di garanzie e imposto severe condizioni. Dall’azzeramento della quota detenuta in Alitalia, peraltro prevista dopo l’abbattimento dei valori con l’aumento di capitale, alla richiesta della due diligence per valutare i conti fino in fondo, a un piano industriale lacrime e sangue con migliaia di esuberi e l’azzeramento del debito. Tutto finalizzato s’intende a prendere il vettore italiano a prezzi da saldo. Non è detto che la manovra riesca, ma è evidente che i francesi stanno compiendo ogni mossa sulla scacchiere per renderla possibile. Sono consapevoli del resto che il tempo gioca a loro favore, anche se il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha fatto capire che il gioco di Parigi è fin troppo scoperto e che altre strade, qualora Air France mollasse la presa, sono percorribili.
I PRETENDENTI
Se Etihad resta il partner preferito (s’integrerebbe alla perfezione con il network della compagnia italiana e darebbe un grande slancio a Fiumicino), in queste ore sono tornati in pista i cinesi di Hna. A tenere i contatti è la banca d’affari Rothschild che ha intensificato il lavoro, inviando un corposo dossier sulle possibili sinergie. Inutile dire che l’interesse c’è ed è concreto. Prima di avviare un discorso operativo c’è però da superare uno scoglio diplomatico. I cinesi non hanno nessuna intenzione di fare uno sgarbo a Parigi e sono disposti ad entrare in campo solo a patto di diventare il partner industriale di riferimento. «Giudicano di difficile gestione - spiegano gli uomini di Rothschild - un accordo in cui Air France possa avere un ruolo preponderante». Insomma, vogliono avere mani libere. Sulla stessa linea, manco a dirlo, il vettore di Dubai, che ha il vantaggio, almeno sulla carta, di aver già incontrato il management di Alitalia, approfondendo il discorso sia sotto il profilo industriale che per quanto riguarda gli aspetti più operativi. Certo anche qui siano solo a livello di contatti informali, perché in questa fase così caotica nessuno vuole scoprirsi.
L’unica cosa certa è che sia Alitalia sia Poste sono al lavoro. La prima per mettere a punto il piano stand alone, la seconda per definire meglio le sinergie da 100 milioni.
Cargolux: «Enac ha ceduto alle pressioni del ministro»
Dunque, anche l’amministratore delegato di Lufthansa ha chiesto a Bruxelles di accendere un faro su Alitalia. La scorsa settimana, con toni assai meno educati, lo aveva fatto British Airways, irritando un po’ tutti perché l’invito imperioso veniva rivolto dalla compagnia di bandiera di un Paese, la Gran Bretagna, che sta facendo di tutto per lasciare l’Unione. Non stupisce, è la guerra dei cieli. Per una questione minore, relativa al settore cargo, qualche settimana fa sono finiti nel mirino il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, e i vertici dell’Enac.
Il fatto. E’ approdato al Tar del Lazio un ricorso firmato Cargolux Italia che reputa illegittima l’autorizzazione Enac a Qatar Airways per svolgere due servizi settimanali all cargo sulla rotta Doha-Milano-Chicago con diritti di quinta libertà sulla tratta Milano-Chicago. Con tale autorizzazione l’Ente per l’aviazione civile ha di fatto implementato l’attività di cargo che la compagnia del Qatar già svolge nel nostro Paese. Ebbene, timorosa che un potente concorrente possa minare la sua quota di mercato, Cargolux si è rivolta al Tar affinché annulli l’autorizzazione. Con quali argomenti? Uno soltanto. Recita il ricorso: «Enac, in totale accondiscendenza alla volontà dei ministeri dei Trasporti e degli Affari Esteri e senza alcuna propria autonoma valutazione ed anzi in contrasto con gli elementi a sua conoscenza, rilasciava l’autorizzazione piegandosi alle pressioni dei due ministeri», in particolare a quello dei Trasporti che «si è macchiato di una sconcertante superficialità dimostrando di ignorare le problematiche dei moderni sistemi di trasporto». E via insultando fino a definire la decisione dell’Enac «pregiudizievole per gli interessi nazionali».
Ora, posto che il ministro dei Trasporti vanta in materia un certo potere discrezionale, va detto che le ragioni per le quali Lupi ha dato luce verde a Quatar Airways non sono poi tanto misteriose, visto l’interesse con il quale l’Italia guarda ai potenziali investimenti di fondi sovrani mediorientali. Talmente poco misteriosi da essere stati esplicitati nella corrispondenza intercorsa con Enac. E poiché il Quatar nel nostro Paese si è già distinto con interventi assai corposi, un’attenzione particolare alle sue richieste è il minimo che ci si possa attendere dal governo. Soprattutto se chi protesta è il braccio operativo di uno Stato, il Lussemburgo, che quanto a investimenti in Italia non ha granché da esibire essendo una sorta di paradiso della elusione fiscale (sia pure legittima).
Naturalmente questo aspetto non è illustrato nel ricorso, dove anzi si spiega il contrario. E cioè che Cargolux «è l’unico vettore italiano operativo nel trasporto merci», che utilizza un aereo Boeing 747 in dry lease, che «gestisce le attività a mezzo di personale italiano alle sue dipendenze, che al momento ammonta a 40 unità» e che «si tratta di nuove assunzioni tutte legate all’inizio delle operazioni». E poiché il mercato all cargo in Italia non gode buona salute «anche per le pratiche competitive dei vettori della penisola araba», è evidente - conclude il ricorso - che l’autorizzazione a Qatar rischia di produrre «gravi conseguenze a danno dei vettori soggetti ai costi nazionali, non essendo QA neppure soggetta alla legislazione comunitaria che vieta gli aiuti di Stato» .
In sintesi, per Cargolux il via libera al vettore qatarino rischia di compromettere l’attività dell’unica compagnia cargo italiana. Ma quanto italiana? Per comprendere il grado di italianità di Cargolux basta una rapida lettura del suo bilancio 2012. Dal quale si ricava che l’intero fatturato di 97 milioni è verso la controllante, vale a dire la compagnia lussemburghese Cargolux Airlines Sa; che la totalità dei crediti (8,4 milioni) è verso la controllante; che i debiti sono per l’80% (9,2 milioni) verso la controllante; che praticamente tutto è sotto contratto con la controllante. A ciò si aggiunga che il Boeing affittato (sempre dalla controllante) non ha rientri in Italia e ha iniziato a volare solo dopo che Cargolux aveva appreso dell’autorizzazione rilasciata a Qatar Airways. Infine, i 40 dipendenti: si tratta di 11 operatori a terra e 29 piloti. Ebbene, questi ultimi sono stati assunti solo nel 2011, a due anni dall’inizio dei voli e solo dopo la denuncia da parte dell’allora concorrente CargoItalia di gravi irregolarità che avrebbero segnato il rilascio della concessione a Cargolux da parte dell’allora vertice operativo di Enac.
Peraltro, nel ricorso non si fa cenno di altre circostanze che qui merita segnalare. E cioè che sulla scrivania del commissario Almunia giace un voluminoso fascicolo intestato Cargolux Airlines in attesa di avvio della procedua d’infrazione per aiuti di Stato (300 milioni); che un anno fa Qatar Airways - allora azionista al 35% di Cargolux Airlines - ha sbattuto la porta della compagnia lussemburghese a causa di una «gestione non trasparente» della società; che il suo posto è stato occupato dallo Stato del Lussemburgo che oggi controlla direttamente quasi l’80% della compagnia; che, infine, è in corso presso il medesimo Tar del Lazio un procedimento contro Cargolux ed Enac per le modalità con le quali nel 2009 venne rilasciata l’autorizzazione a esercitare nel nostro Paese l’attività di cargo. Proprio vero, non c’è limite alla faccia di bronzo.