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Data: 06/11/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Il pm: «Chiodi non poteva non sapere» Il crollo della discarica: Giovagnoni va in appello e chiede la condanna del governatore e di due dirigenti della Regione

L’ASSOLUZIONE IMPUGNATA In primo grado il presidente della giunta regionale era uscito indenne perché da sindaco di Teramo delegò Rabbuffo

TERAMO E’ una sottile linea di demarcazione quella che dà struttura e senso al ricorso con cui la procura teramana impugna in Appello la sentenza di assoluzione dell’allora sindaco Gianni Chiodi, oggi presidente della Regione, dal crollo della discarica La Torre. Perchè, sostiene il pm Stefano Giovagnoni che già in primo grado aveva chiesto la condanna, l’allora primo cittadino teramano non poteva non percepire la gravità di quello che stava succedendo nel sito ormai stracolmo di rifiuti. E, secondo la pubblica accusa, non poteva non avvertirla perchè tra la prima frana dell’aprile 2005 e quella definitiva del 16 febbraio 2006 non c’è stato giorno senza che l’argomento sia stato al centro di riunioni, incontri e denunce del comitato di cittadini. E’ questo il grimaldello che la procura usa per cercare di ribaltare in Appello la sentenza con cui quattro mesi fa il giudice Domenico Canosa ha assolto dall’accusa di crollo colposo l’attuale presidente della giunta regionale perchè il fatto non costituisce reato. Assolto, ha spiegato successivamente Canosa nelle 270 pagine di motivazioni, perchè non sapeva. «Gli elementi di prova acquisiti a suo carico si appalesano insufficienti al fine di ritenere comprovato, con il grado di certezza richiesto, la prevedibilità dell'evento», ha scritto Canosa nelle motivazioni della sentenza La Torre, «egli non ebbe a recarsi in discarica nella giornata del 14.04.2005 e, quindi, non si trovò, a differenza del Rabbuffo, nelle condizioni di osservare ed ispezionare con accortezza quanto si era ivi verificato, ricevendo da questi ampie quanto infondate rassicurazioni. Ne discende come Chiodi Giovanni debba essere mandato assolto, ai sensi dell'articolo 530 comma 2 c.p.p. sub specie dell'insufficienza probatoria, perché il fatto non costituisce reato». Canosa, nell’assolvere Chiodi, ha condannato ad un anno e quattro mesi l’allora ex vice sindaco Berardo Rabbuffo, attuale consigliere regionale, e il dirigente comunale Nicola D’Antonio, all’epoca incaricato di gestire la discarica. Chiodi e Rabbuffo sono partiti dallo stesso punto perché, hascritto Canosa, «avevano piena percezione del fatto che l'attività di discarica fosse in via di esaurimento». Ma, per il giudice, le loro posizioni si sono poi distinte, si legge nelle motivazioni, «essendo stata rilasciata al Rabbuffo apposita e rituale delega avente ad oggetto anche il controllo della gestione e della manutenzione della discarica» e per «la maggiore affinità della formazione professionale del Rabbuffo (architetto) rispetto a quella del Chiodi, (commercialista)». Così Canosa ha successivamente analizzato il comportamento dei due amministratori comunali: «Rabbuffo diede una rappresentazione colposamente riduttiva del rischio crollo. A vrebbe potuto e dovuto notiziare il sindaco e la giunta, nell'assolutamente considerevole spazio temporale superiore ai dieci mesi intercorrenti tra i due movimenti franosi, circa quanto percepito o percepibile nell'occasione, quanto parimenti apprendibile e, quindi, della necessità, al fine di disattivare la fonte di pericolo, di cessare l'attività di conferimento e, soprattutto, di adottare le iniziative idonee a realizzare, con l'urgenza necessaria, quelle opere di messa in sicurezza del sito». Giovagnoni ha fatto ricorso in Appello non solo per impugnare l’assoluzione di Chiodi, ma anche quelle dei due dirigenti regionali che nel corso degli anni si sono succeduti alla guida del servizio gestione rifiuti della Regione: Massimo Di Giacinto e Franco Gerardini, attuale dirigente. La parola ora passa ai giudici di secondo grado.

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