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Data: 17/11/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
La scissione del Pdl - All’Eur va in scena Jurassic Park dall’altra parte i tecno-moderati

Lì, i musi lunghi, da funerale senza fiori, da battesimo che è anche sbattesimo di Forza Italia. O forse va in scena nella sala dell’Eur, non colorata di azzurro libertà ma di marroncino tristanzuolo e poco avveniristico, quello che Francois Furet chiamava il «passato di un’illusione». Anche se il grande storico si riferiva al comunismo e non al berlusconismo ma di nuovo le due cose si mischiano perchè Silvio rispolvera davanti al suo uditorio la truce sequela degli «omicidi politici voluti da Stalin». E lì all’Eur siamo con il Cavaliere e con la sua vecchia-nuova creatura in mezzo a bandiere che non ci sono, ai posti vuoti che dovevano essere riservati ai ministri colombe (in prima fila al centro doveva esserci Alfano, alla sua sinistra Lorenzin e via così e invece niente), a tante pantere grigie (guidate dal quasi ottantenne che prima si commuove e poi quasi sviene sul palco per la stanchezza e si precipita il medico Zangrillo a salvarlo), poche gnocche (indizio di decadence?), qualche riemerso (ecco Scajola ma soprattutto Iva Zanicchi: «Che ce canti?». Potrebbe intonare «Un fiume amaro»), i liberali d’antan (Antonio Martino con in tasca la tessera numero due dell’antica Forza Italia) e quando arrivano gli unici giovinetti (gli «Zappanchè» ossia gli Zappacosta, i due fratelli Marx del mondo falchetto modello Santanchè) non vogliono farli entrare nel palazzo dei congressi e deve intervenire Verdini per aprirgli la strada. Questo è il colpo d’occhio numero uno. Il due è alla stampa estera, e al broncio forzista dell’Eur si contrappone il sorrisone di Alfano. Il quale però è teso e cita dieci volte Berlusconi per dirgli quanto gli vuole bene nonostante tutto e nella convention di Silvio qualcuno facendo il verso al James Joyce di «Gente di Dublino» aveva immaginato al mattino: «Ora arriva Alfano, va sul placo dal Cavaliere e gli dice: non mi bastonare, papà, non mi bastonare». Ma di Alfano, all’Eur, l’unica traccia è il pullman con su scritto Angelino, che è arrivato da Napoli e ha evacuato forzisti campani che nel tragitto si sono divertiti così: «Alfano? Prrrrrr....» (pernacchia, anzi loro la chiamano ’o pernacchio). In mezzo tra l’Eur amarcord (se nel ’94 ci fosse stato ancora il bianco e nero, ieri ci sarebbe ristato il bianco e nero oppure, in chiave anticomunista, è come resuscitare la Ddr) e la sala di lancio del tecno-moderatismo diversamente berlusconiano o a-berlusconiano se non ormai anti-berlusconiano (guarda caso a due passi dal Quirinale, anzi alla sua ombra, ed è tutto un parlare di riforme da fare e di modernizzazione da costruire e di sguardi verso l’Europa da europeisti e non da «eurozerbini» in un luogo international e trendy di Roma pieno di giornalisti stranieri), c’è il teatro Orione dell’Appio-Tuscolano ed ecco un’altra faccia del centrodestra, ossia il pop-party, il festone americano alla amatriciana allestito dall’Esercito di Silvio.
AMERICANI A ROMA
Ed è un agitare di palloncini colorati, la superluce che illumina il megaschermo sul palco azzurrissimo e reca la scrittona «Io ho un sogno» (niente slogan stampati nell’altra sala) come per recuperare quella pazzotica follia erasmiana che fu del Silvio di vent’anni fa e ora pare sparita insieme alla bacchetta magica. Tre sequenze, tre sale, tre scene, tre mondi, tre stili. Tre epoche. Ieri (Eur). Oggi (la festa pop falchetta sbracatella). Domani? (la compunta cerimonia del varo del partito alfaneo). Il cui leader però parlando di fisco e di altro tradisce ancora l’imprinting berlusconiano e continua a odorare del brodo primordiale da cui proviene: «Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani!». Ecco. Lo dice Silvio, lo dice Angelino. Ma andiamo oltre. Anzi, andiamo indietro. Il film, molto suggestivo e forte, confezionato dal senatore Francesco Giro per il ventennale di Forza Italia viene proiettato all’Eur e piace a tutti. A cominciare dal Cavaliere che lo ha visionato in anteprima l’altra notte, preferendolo addirittura alla partita dell’Italia con la Germania. E scorrono centinaia di immagini scelte da Giro: la storica manifestazione alla Fiera di Roma nel ’94, il congresso del ’98, il contratto con gli italiani da Vespa, il mega-corteo del 2 dicembre 2006 con il lungo tricolore che si dipana attorno al Colosseo. Ora, spicca soltanto la bandierina lacera che un anziano con un cartello al collo («Ci sono scritte tutte le mie disgrazie giudiziarie, io sono una vittima dei pm più di Silvio») mostra sul piazzale del palazzo dei congressi e lui si chiama Omerio Bufaloni. E insomma si potrà riessere come si è stati prima, cioè vent’anni fa? Si può. «Ma dobbiamo rivolgerci anche a nuove energie», si fa forza il Cavaliere, subito ricadendo nella nostalgia: «Sono scomparsi don Gianni Baget Bozzo, non c’è più Lucio Colletti...» (che in realtà si aggiunse in un secondo momento). Gli «Zappanchè» sapranno supplire a cotanta mancanza? I falchetti pop - diversi dai fighetti stile Luiss degli Zappacosta - sapranno dare futuro con le loro coccarde e i loro coretti («Siamo un esercito... l’esercito di Silvio....») al «passato di un’illusione»? Loro la verve ce la mettono («Presidente, vinci sempreeee!!!!»), così come gli alfaniani a due passi dal Colle mettono in mostra il loro tentativo di dare nuova presentabilità alla proposta del centrodestra compunto e affidabile («Popolari, non populisti», è lo slogan dei ministri ex azzurri), mentre i berluscones rimasti con Silvio un po’ sono in preda a quella che uno di loro definisce poeticamente «l’euforia dei naufraghi» e un po’ - quando il leader narra di come è stato maltrattato da Alfano - flettono i muscoli esplodendo nelle grida anti-Angelino: «Traditori», «vermi», «ladri di voti». Qui c’è la fede, nell’altra parte l’eresia, e all’Appio Tuscolano l’ammuina dove tutti cantano «Menomalechesilvio c’è» ma lui non c’è e forse non sa più come essere.

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