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Data: 13/12/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni, fino a 2 mila euro aumenta la rivalutazione

Tra tre e quattro volte il minimo Inps sarà riconosciuto il 95 % dell’aumentoPolemica per il ritorno del divieto di cumulo sui trattamenti medio-alti

ROMA Piccolo incremento della rivalutazione per le pensioni comprese tra tre e quattro volte il minimo Inps, ossia tra i 1.500 e i 2.000 euro circa: si vedranno riconoscere nel 2014 il 95 per cento dell’inflazione invece del 90. Lo prevede un emendamento del relatore della legge di stabilità, Maino Marchi Il quale vorrebbe anche applicare il ai vitalizi parlamentari il contributo richiesto alle cosiddette pensioni d’oro. Ma la discussione sulla previdenza, nell’ambito della manovra, è animata anche dal tentativo di alcune forze politiche di reintrodurre almeno per i trattamenti medio-alti il divieto di cumulo tra lavoro e pensione, cancellato in modo pressoché definitivo nel 2008. Tornerebbe insomma il principio per cui chi percepisce un trattamento previdenziale non è libero di lavorare come gli altri.
Sono tre in particolare le proposte che hanno superato il vaglio dell’ammissibilità e sono state anche inserite tra quelle “segnalate” dalle forze politiche. La prima a firma di una pattuglia di deputati di Scelta Civica pone un limite complessivo di 150 mila euro alla somma di redditi da lavoro, dipendente o autonomo, e redditi da pensione. Se questa soglia viene superata, scatta la riduzione automatica dell’assegno pensionistico, che può essere anche azzerato nel caso in cui i redditi da lavori eccedano da soli i 150 mila euro.
Il secondo emendamento porta invece la firma del capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza. Anche in questo caso il divieto riguarda sia il lavoro dipendente che quello autonomo, e c’è un tetto fissato a 150 mila euro; ma il meccanismo è un po’ diverso. Verrebbe colpita la quota di pensione superiore al limite, che verrebbe tagliata interamente oppure in parte se l’ammontare dei redditi da lavoro è inferiore. Infine c’è il testo a firma Castricone e Ginefra, entrambi del Pd, che è ancor più drastico prevedendo il divieto di percepire trattamenti pensionistici per tutti coloro che hanno un reddito da lavoro dipendente o autonomo. Verrebbero salvati solo i pensionati il cui reddito complessivo è inferiore a cinque volte il trattamento minimo Inps (circa 32 mila euro l’anno).
PROFESSIONALITÀ PENALIZZATE
Chi saranno i più penalizzati dall’eventuale approvazione di questi emendamenti? Soprattutto i titolari di pensione relativamente alte, gli stessi che sempre con la legge di stabilità dovranno subire una drastica riduzione della quota di trattamento previdenziale superiore ai 90 mila euro, con un taglio crescente dal 6 al 18 per cento. Dirigenti consulenti, ma anche medici che da pensionati lavorano nella sanità privata: tutte persone che avevano lasciato l’attività da dipendenti facendo conto su un diverso modo di usare la propria professionalità.
Come per tutte le misure di questo tipo, c’è il rischio che il gioco non valga la candela, ossia che i risparmi ottenuti sul fronte della spesa per pensioni risultino alla fine inferiori ai minori introiti per lo Stato sotto forma di Irpef, di Iva ma anche di contribuzione previdenziale, versata comunque anche da soggetti che hanno già raggiunto il traguardo della pensione.
Contro il ripristino del divieto di cumulo si schiera Giuliano Cazzola, esperto di previdenza, già deputato e ora esponente di Ncd: «Pretendere che quanti percepiscono un trattamento superiore a 150mila euro lordi l’anno trascorrano le loro giornate da pensionati ai giardini pubblici o continuino a lavorare sostanzialmente gratis - fa notare - è un’operazione che distrugge capitale umano, risorse professionali e cultura e che non aiuta i giovani».

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