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Data: 13/12/2013
Testata giornalistica: Il Centro
«Nessun colore né sigle Siamo il popolo disperato». Nel presidio di Roma dai disoccupati agli ambulanti le mille facce della protesta «Se ne devono andare tutti: non ci hanno lasciato più nemmeno le briciole»

ROMA A mezzogiorno nel presidio permanente di piazzale dei Partigiani, in un rettangolo ritagliato tra le tende e il gazebo, un gruppo di ragazzi improvvisa una partita. Uno corre imbracciando la bandiera Tricolore, l’unica ammessa, dribbla gli avversari tra gli applausi. Tifo, risate. Dal 9 dicembre, giorno fissato per l’inizio della «rivoluzione», a Roma tutto è tranquillo, ma il fuoco della rabbia cova sotto la cenere in attesa che sabato il Coordinamento nazionale 9 dicembre decida il nuovo giorno X, quello della «marcia» sulla Capitale, l’assedio «pacifico» annunciato da Danilo Calvani, uno dei leader della protesta. «Ma ora pazientate, facciamo bollire l’acqua» ha chiesto Mariano Ferro, il capo dei Forconi. «Le ideologie non ci interessano, non ci sono colori politici qui: vogliamo solo che se ne vadano tutti – dice Barbara De Propis, disoccupata, che con Alessio Provaroni rappresenta il Coordinamento – Chi parla è solo il popolo disperato che lo Stato ha portato alla fame». Così aspettano, da lunedì, circondati da un cordone di poliziotti e carabinieri. Disoccupati, precari, piccoli imprenditori, studenti, pensionati, ambulanti e autotrasportatori. Ragazzi coi dreadlocks dei rasta e teste rasate. Più destra, ma anche sinistra, e scontente entrambe. Davanti al gazebo, su un banchetto, pane in cassetta, dolci. Dietro, casse di acqua minerale. «Ce li porta la gente». Alcuni tengono la piazza di notte, dormendo in tenda o in macchina. Altri vanno e vengono. Per ora senza una regia precisa, né un capo riconosciuto. Tutti uniti dallo stesso rancore verso la classe politica «che ha distrutto l’Italia» e verso «i media corrotti», i padroni e i «servi», i divoratori e i mistificatori, i bersagli principali di un malcontento orientato confusamente verso lo stesso obiettivo: «cacciarli tutti», ma senza progetti precisi su cosa si farà “dopo” la «rivoluzione». «Rivendichiamo solo i nostri diritti – spiega Barbara, disoccupata da quando la cooperativa per cui lavorava come ausiliaria ospedaliera ha tagliato il personale – La nostra colpa è solo quella di esserci svegliati tardi. Ma meglio tardi che mai. Berlusconi, gli altri, sono i soliti opportunisti. Dopo? Non vogliamo più gli stessi partiti, ci sono tanti movimenti extraparlamentari che la pensano come noi, ma prima di tutto la sovranità monetaria». Le facce del Paese infelice sono innumerevoli. Quella del pensionato Giorgio Benvenuti, 65 anni: «I nostri governanti sono sordi. Che deve fare la gente che non ha da mangiare? Andare a rubare?». Quella di Giovanni Carletti, ex dipendente di un’agenzia di recapiti, convinto che dietro al disastro ci sia un «complotto giudaico», che da vent’anni non vota e spera «che salti in aria il sistema». Quella di Veronica C., ex cameriera di 26 anni, che da sei mesi non trova lavoro e fa i salti mortali per pagare l’affitto. Di Danilo Bartolucci, 39 anni, disoccupato, che dovrebbe campare con 250 euro al mese di pensione. «Almeno con la prima Repubblica le briciole arrivavano anche a noi: oggi abbiamo solo papponi a destra e a sinistra, e non ci danno manco più quelle – commenta Monica Alessandrini, ambulante – Non è giusto che i nostri figli debbano andarsene dall’Italia, stiamo diventando la feccia del mondo, resiste solo la spazzatura». Gli ambulanti sono una componente forte della protesta, in piazza contro la direttiva Bolkestein che nel 2017 metterà licenze e posteggi a gara pubblica con bando europeo: «Si sono seduti a un tavolo e hanno deciso in nome nostro – dice il loro leader, Giuseppe Varinio D’Aquila – chi vincerà le gare farà i consorzi e ci riaffitterà le aree, vogliono accentrare il potere. Appoggiamo questa lotta perché se la gente resta senza lavoro e non ha un soldo, chi verrà a comprare da noi?». Ma non ci stanno a essere accomunati ai violenti. Provaroni, geometra rimasto senza lavoro dopo il fallimento della ditta, ammette il rischio di infiltrazioni: «Ma noi ci opponiamo fermamente» assicura. Così come respinge il tentativo di partiti e organizzazioni, come Casapound e Forza Nuova, di «mettere il cappello» sulla contestazione. «Qui c’è gente di centrodestra, così come ho visto anche tante persone di sinistra che si riconoscono nell’idea di nazione, di patria, in senso identitario. Poi ognuno rimane della sua idea».

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