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Data: 19/12/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Forconi, la marcia su Roma è un flop. Poco più di tremila alla manifestazione. Calvani: «Non molliamo, politici tutti a casa o dopo le feste lotta più dura»

ROMA In una piazza del Popolo blindata e semivuota, di fronte ai «rivoluzionari» del 9 dicembre arrivati in poco più di tremila, Danilo Calvani attribuisce gli spazi vuoti ai molti treni diretti a Roma «che casualmente hanno avuto ritardi per dei guasti». I quindicimila attesi non ci sono. La frattura con i Forconi siciliani e il fronte veneto ha ridotto la forza d’urto del movimento a una folla che galleggia tra bandiere tricolore e palloncini decorati da maiali rosa in uno spazio che può contenere fino a centomila persone. «Ci sono pullman bloccati sul raccordo anulare» assicurano gli organizzatori. Qualcuno denuncia tentativi di boicottaggio. «A Bologna la Polfer ci fa fatti scendere: abbiamo tentato di salire su un altro treno, ma abbiamo trovato un muro di trenta poliziotti» racconta Stefano Iovine, partito da Como martedì con altre quaranta persone. Per riuscire a ripartire, hanno dovuto dividersi. Al centro della piazza i militanti di Casapound marcano la differenza restando raccolti in una formazione a falange, i volti coperti da maschere tricolore dietro lo striscione «Alcuni italiani non si arrendono». «Italia nazione rivoluzione», scandiscono in coro mentre sul palco si susseguono gli interventi dei rappresentanti dei presidi contro la «politica criminale», il “signoraggio”, l’Europa dei banchieri e l’euro, per la sovranità monetaria: «Avete creato 40 milioni di poveri, assassini, 15 mila casi di suicidio dal 2009» si sgola uno dei delegati. Si alternano al microfono «commercianti caduti in disgrazia», avvocati, studenti, operai. «Viva l’Italia» urlano tutti concludendo. Al leader dei Forconi Mariano Ferro, che ha rifiutato di partecipare per «non prestare il fianco agli estremisti di Casapound e alla destra che cerca di strumentalizzarci», eche da Ragusa lancia un avvertimento a Silvio Berlusconi («non siamo fessi»), replica il vice presidente Simone Di Stefano, arrestato nei giorni scorsi per il furto di una bandiera europea: «Strumentalizzazioni? La risposta è questa piazza pacifica e colorata: qualcuno magari ha ottenuto un tavolo di trattative con il governo e usa Casapound per sfilarsi. Ma noi ci siamo». Anche per dare contenuti, sostiene, a una protesta che rischia di esaurirsi negli slogan che la folla ripete senza sosta: tutti a casa, buffoni, dimissioni, vaffa, e giornalisti terroristi. «Siamo qui per portare rivendicazioni che forse un po’ mancano: scioglimento delle Camere, al voto a febbraio con la legge che c’è e nuova costituente» dice Di Stefano nel giorno in cui il premier Enrico Letta definisce «esagerato» il giudizio del presidente degli industriali Giorgio Squinzi sulle proteste. «Ampiamente giustificate», aveva detto. In piazza la rabbia compressa a tratti esplode: «Andiamo a Montecitorio» invoca la folla, ma gli organizzatori cercano di spegnere in fretta scintille pericolose. «I nomi degli infiltrati? Letta, Alfano, Bindi, Formigoni. Andate via dal nostro Paese – urla tra gli applausi Calvani, leader dei Comitati agricoli riuniti e capo dell’ala dura della contestazione – Il nostro Paese è stato la culla della civiltà occidentale, adesso è l’era dei mafiosi e dei farabutti. Lotteremo a oltranza, e a lei presidente Napolitano, che non ci rappresenta – dice mentre si alzano fischi e insulti al capo dello Stato – dico che manderemo via questa classe politica. Ma nessuno deve uscire dall’ordine costituito». Dunque, no a violenze, ma anche a trattative, allentamento dei presidi durante le feste e dopo, «se non se ne vanno, lotta ancora più dura». «Qui non ci sono ideologie, né destra né sinistra» rivendicano tutti. Ma certo, la destra è forte. Dal palco parla applaudito Roberto Reginaldi, leader del presidio di Sezze, vicino a Forza Nuova. Parla polemico «a chi non c’è» Francesco Crupi, esponente dei Forconi: «Se qualcuno ha pensato per le proprie debolezze di tirarsi indietro, sappia che non gli sarà consentito da chi lo ha seguito». Ma Ferro conferma la sua scelta , e annuncia un sit-in permanente da domenica a Roma: «Prima dal Papa, poi un presidio pacifico, con famiglie e bambini».

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