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Pescara, 18/12/2025
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Data: 20/12/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Lavoro: Pd diviso, frenata sull’articolo 18. Riunita la segreteria, Renzi: «L’obiettivo è creare occupazione non ridurre i diritti. Non ci sono totem, con la Cgil si può litigare»

ROMA Un totem. Di più, un «totem ideologico». Così Matteo Renzi definisce l’articolo 18, tema sul quale si stava pericolosamente indirizzando la discussione in tema di lavoro. Non un totem da abbattere, men che meno un qualcosa sotto il quale farsi abbattere. «Non ci sto a star dietro a un totem ideologico dietro al quale danzano i soliti addetti ai lavori», scandisce il neo leader del Pd, «mi ricorda la polemica di Sciascia contro i professionisti dell’antimafia, qui i professionisti dell’articolo 18». Renzi ha riunito di buon mattino la segreteria, questa volta alle 7,30 invece che alle 7; durante le due ore buone di discussione, il segretario ha precisato che «la priorità è il lavoro non l’art.18», aggiungendo che il Pd preparerà un grande piano del lavoro da sottoporre al governo e agli alleati come punto di programma prioritario per il 2014. Per preparare quello che in termini anglosassoni viene definito job act, sono stati delegati Marianna Madia, responsabile lavoro in segreteria, e Filippo Taddei, responsabile economico. «Abbiamo intenzione di rimettere in moto il mercato del lavoro, porremo quest’obiettivo all’interno del patto di governo per il 2014», la sintesi di Deborah Serracchiani al termine della segreteria.
LA MOSSA DEL CAVALLO

Il leader democrat non è assurto alla guida del Pd per ripercorrere le orme dei suoi predecessori, tutti strenui difensori dell’art.18 e delle tutele sindacali classiche; ma neanche intende farsi infilzare da polemiche o da attacchi che puntano a identificarlo come il segretario che abbatte le tutele. Di qui, la mossa del cavallo: non un referendum sul sì o no al ”18”, ma spostare l’attenzione sull’obiettivo principale, il lavoro. «In questi vent’anni i lavoratori sono stati divisi in due categorie, quelli con garanzie e quelli senza garanzie, bisogna adesso dare garanzie a tutti cambiando le regole del gioco». Il sindacato, la Cgil, punta i piedi? «Il Pd non è la Cgil, che è un sindacato importante. Il Pd può avere idee che in alcuni casi vanno nella direzione della Cgil, in altri casi no». E ancora, perché il concetto sia chiaro: «Noi vogliamo cambiare, se questo vuol dire ogni tanto litigare con il sindacato, litighiamo anche con il sindacato».
L’ipotesi dalla quale il segretario si muove è la proposta di Pietro Ichino, già consigliere di Veltroni, che prevede tutele crescenti in materia di assunzioni con la sospensione dell’art.18 per i primi due anni. Ma già nel Pd in tanti stanno sul chi va là, pronti a puntare il dito. Per tutti Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e attuale presidente della omonima commissione alla Camera, che avverte: «L’idea di abolire l’art.18 è vecchia, vecchia, vecchia, una ricetta che contesto, un attacco che dura dagli anni Settanta, finirebbe solo per creare l’apartheid a svantaggio dei giovani». Renzi vuol star dietro a Ichino? «Spero di no, Ichino ha idee liberiste, non a caso è finito in Scelta civica», la rasoiata di Damiano, un attacco a nuora perché suocera intenda. Una piccola lancia a favore spezza Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che definisce la proposta di Renzi «accettabile che va nella direzione giusta», anche se «insufficiente».

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