PESCARA L’avvocato Massimo Krogh è asciuttissimo, non si sbilancia sulle due ore di interrogatorio alle quali è stato sottoposto ieri l’ex direttore generale di Banca Tercas, Antonio Di Matteo. «Il giudice si è dimostrato molto aperto – commenta Krogh – e Di Matteo ha reso i suoi chiarimenti». Come già aveva fatto nel primo colloquio con il suo legale Di Matteo ha sostenuto ricorda Krogh «che le accuse possono nascere da equivoci dell’autorità di vigilanza». La difesa sta intanto valutando la strada da percorrere riguardo alla misura cautelare se un’istanza al gip o il ricorso al Tribunale del Riesame.Per il momento, in occasione dell’interrogatorio di garanzia non sono stati prodotti documenti, che arriveranno certamente in una fase successiva dell’inchiesta. A questo punto lo snodo è legato proprio ai tempi e ai modi delle ispezioni a cui Banca d’Italia ha sottoposto l’istituto di credito teramano, prima promosso a pieni voti, tanto da essere autorizzato all’acquisizione di Caripe, poi trovato in default. L’operazione di acquisto dell’istituto di credito pescarese era stata benedetta da Bankitalia sulla scorta di ragionevoli certezze: «L’operazione – rilevano i consulenti tecnici della magistratura – prevedeva un esborso complessivo pari a 228 milioni di euro (importo peraltro pari a più del doppio del patrimonio netto di Caripe). Il "parere tecnico" rilasciato dai competenti uffici di Banca d’Italia indicava, sulla scorta delle segnalazioni di vigilanza ricevute e dei dati contenuti nell’istanza di acquisizione, che "Tercas beneficia di una situazione tecnica nel complesso favorevole, caratterizzata da un buon livello di patrimonializzazione, una moderata esposizione ai rischi finanziari e una rischiosità creditizia sostanzialmente contenuta". L’impatto dell’operazione - si legge ancora nell’ordinanza del gip - era considerato sostenibile richiamando che il "margine disponibile della Tercas per investimenti in partecipazioni e immobili è capiente rispetto all’acquisto" e considerando: "sulla base delle simulazioni fornite dall’istante, risulterebbero rispettati tutti gli istituti di vigilanza prudenziale a livello individuale e consolidato in termini sia attuali sia prospettici"». Su queste basi Bankitalia il 29 dicembre 2010 dà il via libera all’operazione. Basta meno di un anno per ribaltare la situazione. Arrivano gli ispettorie e la musica cambia, la sentenza è lapidaria «in presenza di informazioni corrette l’organo di vigilanza non avrebbe potuto autorizzare Tercas all’acquisto di Banca Caripe. Avrebbero orstato l’assenza di "margine patrimoniale" cioè i mezzi propri investibili in partecipazioni; il mancato rispetto dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori, condizione essenziale per l’esercizio stesso dell’attività bancaria; la scadente qualità del portafoglio prestiti, gravato da ingenti svalutazioni». Insomma, la Tercas a quel punto già non era più una banca. Le colpe? Consulenti e gip sono durissimi: «Se amministratori e sindaci condividono, nei rispettivi ruo nei rispettivi ruoli, gravi responsabilità, non può tuttavia non rilevarsi come fosse il direttore generale Di Matteo a trovarsi in una posizione privilegiata per conoscere esattamente lo stato di effettiva salute finanziaria di molti dei principali gruppi affidati». Tutti sapevano, dunque, per il giudice e tutti hanno voluto rischiare «per soddisfare ambizioni di grandezza».
A «staccarsi» dalla gestione Di Matteo è intanto Valeria Franceschini, dipendente Tercas indicata come molto vicina al’ex direttore generale nell’ordinanza di custodia cautelare:«Non sono io – spiega – si tratta di una persona, che peraltro non lavora a Teramo, che porta il mio stesso cognome».