ROMA La marcia verso l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti segna un nuovo punto fermo. È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, ed è in vigore da ieri, il decreto legge varato dal governo il 13 dicembre, dopo la nuova ondata di polemiche seguita alla decisione del procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, di sollevare la questione di legittimità davanti alla Consulta. Enrico Letta aveva promesso la fine del regime attuale al suo insediamento, il M5S aveva continuato a chiederlo a gran voce e il nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, ne aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. Dal 2014 le formazioni politiche che vorranno ottenere il 2 per mille dell’Irpef o contributi da privati con agevolazioni fiscali dovranno dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico. L’obiettivo è «il passaggio a un sistema di finanziamento privato fondato sulle libere scelte dei cittadini». Il documento dovrà indicare tra l’altro la durata degli incarichi, la cadenza dei congressi, i criteri per garantire le minoranze, le modalità di selezione dei candidati. Una Commissione di garanzia vigilerà sulla conformità degli statuti alla legge e potrà chiedere eventuali modifiche. Il filo conduttore - sottolinea la relazione che accompagna il decreto - è «legare il modello di finanziamento della politica ad un sistema di regole che garantisca la democrazia interna dei partiti e la trasparenza di funzionamento e bilanci». Vent’anni dopo la vittoria del referendum abrogativo, rimasta sulla carta, l’iter sembra finalmente in dirittura d’arrivo. Il dl, infatti, è arrivato ieri al Senato. A comunicarlo all'Assemblea di palazzo Madama, nell’aula semivuota di fine anno, è stato il presidente Piero Grasso dopo che venerdì, durante la conferenza dei capigruppo di Montecitorio, l'opposizione aveva stigmatizzato il fatto che il decreto non fosse stato ancora trasmesso alle Camere. Il testo ripropone quasi integralmente il disegno di legge approvato in prima lettura alla Camera il 16 ottobre. «Il governo - si legge nella relazione - ha ritenuto di intervenire con un provvedimento di urgenza per assicurare l’entrata in vigore sin dall'inizio del 2014» . Sono invece saltate le disposizioni, contenute nell'originario testo del governo e soppresse durante l'esame parlamentare, che prevedevano per i partiti una serie di benefici indiretti come la disponibilità di immobili pubblici a canone agevolato e la concessione di spazi televisivi gratis sulle reti Rai. Il decreto prevede un decremento del finanziamento pubblico in tre anni: nel 2014 del 25%, nel 2015 del 50%, nel 2016 del 75%. Dal 2017 il finanziamento pubblico cesserà completamente. Per le erogazioni liberali in denaro sarà ammessa una detrazione fiscale del 37% per le somme fino a 20mila euro annui, del 26% tra 20 e 70mila euro annui. Sarà possibile detrarre il 75% delle spese sostenute per corsi di scuola politica fino a 750 euro annui. Sarà possibile anche la raccolta telefonica di fondi.