Era andata a Porta a Porta da Vespa in divisa. E si era beccata 10 giorni di sospensione dal servizio. Ma la Pasionaria che ha portato mille autisti all’assedio del Campidoglio e fondato un nuovo sindacato Cambia-menti M410, non si scompone. Si difende e fa ricorso all’Atac: «Sono stata invitata come studentessa» ha scritto di pugno. E la divisa che indossava? «L’azienda non ha gli spogliatoi» ribatte passando all’attacco, certa che nessuno può contestargli il contrario.
Micaela Quintavalle, la studentessa di medicina 33enne e autista dell’Atac, che ha scavalcato i nobili sindacati, accusati di non rappresentare gli interessi dei lavoratori, ha ingranato la marcia anche per difendersi, sicura come quando si mette alla guida del bus. Solo che stavolta al posto del volante ha impugnato la penna. Destinazione: il ricorso al consiglio di disciplina contro il provvedimento seguito alla sua partecipazione alla trasmissione su Rai1 del 2 dicembre scorso.
Primo punto. Da Vespa Quintavalle c’è andata come libera cittadina, da studentessa di medicina quale è. Le è testimonte Vespa. «Il dottor Bruno Vespa - scrive Quintavalle - nella trasmissione Porta a Porta del 2 dicembre 2013 nel presentarmi ai telespettatori, testualmente dice "noi l’abbiamo invitata perché venerdì lei è stata invitata dal rettore della Sapienza, di cui ci stiamo occupando stasera, a parlare a nome degli studenti all’inaugurazione dell’anno accademico". La conclusione. «Sono stata invitata come "libera cittadina" a parlare dell’inaugurazione dell’anno accademico. Il mio indossare la divisa Atac deriva unicamente dalla mancanza di spogliatoi in azienda». La divisa, del resto, è il suo vestito. «La indosso praticamente tutto il giorno (ogni giorno) fiera di indossarla - ha continuato -. Anche in presenza di una prova documentale dove risulti che io abbia ricevuto il codice etico, di cui mi servo il diritto di avere prova, si è arrivati all’assurdo per cui norme e direttive emanate unilateralmente dall’Atac sconfessano e travalicano la legge dello Stato». «Anzi - ha spiegato sfoderando l’asso nella manica - la legge delle leggi, la Costituzione italiana per la quale ognuno di noi ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto - appunto - del codice penale e del codice civile senza per questo offendere, o disprezzare, qualcosa o qualcuno. Alla luce di ciò - ha concluso Quintavalle - nella trasmissione in questione si evince palesemente che io non abbia violato l’articolo 42, come da voi sostenuto e a me imputato».