Colpo di scena. La stella di Luciano D’Alfonso è inopinatamente tramontata. Il PD non potrà più proporlo come proprio candidato alla Presidenza della Regione Abruzzo. Per i seguenti motivi.
1) Il nuovo PD del neosegretario Matteo Renzi ha imposto una svolta politica che ha avuto come prima conseguenza l’imposizione del ritiro dalla candidatura alla Presidenza della Regione Sardegna di Francesca Barracciu, cioè l’europarlamentare che tre mesi fa aveva vinto le primarie del suo partito per le elezioni regionali che si terranno il 16 febbraio prossimo.
2) Nonostante l’investitura popolare, la Barracciu ricevette, il giorno dopo le primarie, un avviso di garanzia relativo all’accusa di peculato con riferimento all’inchiesta sui fondi ai gruppi consiliari della regione Sardegna. La Procura di Cagliari le ha contestato spese per 33mila euro relative a quando la Barracciu era consigliere regionale nella precedente legislatura (l’indagata sostiene che quei soldi furono spesi per la benzina).
3) La questione giudiziaria ha infastidito non poco la coalizione, SEL in primis unitamente ad altre correnti dello stesso PD, fino a quando il partito non le ha chiesto di farsi da parte. Lei ha resistito, forte del voto popolare delle primarie, ma il PD ha tenuto duro intimandole il passo indietro per il bene del partito. Cosa che è avvenuta la notte del 30 dicembre.
4) Lo scontro interno al partito è stato cruento ed è sfociato in un vero psicodramma, dato che le candidature regionali sarde dovranno essere presentate fra soli 10 giorni, ma non c’è dubbio che il gesto di pulizia preventiva gioverà non poco alla ripulitura dell’immagine del PD, da tempo compromessa agli occhi degli elettori.
5) Il PD, per bocca del segretario regionale della Sardegna, ha dichiarato pubblicamente di aver deciso di ritirare la candidatura della Barracciu “non per una questione morale inesistente e spesso indegnamente citata, ma per una valutazione tutta politica, legata al fatto che la campagna elettorale del centrosinistra non può ridursi ad un processo anticipato fatto sui media, nei bar e nelle assemblee che faremo (…) È una scelta solo politica, e di salvaguardia delle persone, quella che impone un passo indietro per farne insieme tre in avanti e riprenderci la Sardegna”.
6) Se la nuova segreteria PD a guida Renzi ha scelto la linea politica della legalità e della pulizia per evitare ripercussioni giudiziarie che potrebbero azzoppare e inficiare il risultato delle elezioni sarde, la medesima segreteria Renzi non potrà che adottare la stessa linea di condotta con riferimento alle elezioni regionali dell’Abruzzo che si svolgeranno il prossimo 25 maggio.
7) L’Abruzzo vanta trascorsi disastrosi per il centrosinistra, dato che nel 2008 il Presidente della Regione Del Turco fu arrestato e successivamente condannato con pene severissime per i ben noti reati. Da quella vicenda nacque la vittoria del PDL a guida Chiodi, legislatura che sta per giungere a conclusione.
8) Il PD Abruzzo deve svolgere a brevissimo il congresso regionale per il rinnovo dei vertici del partito e sembra voglia svolgere le primarie per la candidatura alla Presidenza della Regione. L’unico candidato certo fino ad oggi era Luciano D’Alfonso, che lavora da un anno e mezzo in maniera palese per prendere il posto di Chiodi.
9) D’Alfonso non è solo chiacchierato, ma pesantemente coinvolto in inchieste penali che fino ad ora sono approdate ad una parziale assoluzione in primo grado, accompagnata da una prescrizione relativa a due gravi capi di imputazione. A distanza di quasi un anno da quella sentenza solo chi scrive (salvi media a me sconosciuti o disattenzioni nella lettura) ha reso nota quella prescrizione: http://www.iduepunti.it/francia/4_giugno_2013/clamoroso-luciano-d%E2%80%99alfonso-non-%C3%A8-stato-assolto.
10) Desta meraviglia il fatto che nessun giornalista abruzzese (sempre salve mie disattenzioni)abbia sottolineato la gravità della questione che, come avviene in consimili casi (vedi da ultimo quello Penati che riguarda allo stesso modo un ex dirigente del PD), avrebbe meritato un gigantesco rilievo. Possibile che D’Alfonso sia così potente ed intoccabile da essere divenuto non criticabile? Possibile che meriti un silenzio stampa sulle sue zone d’ombra? Possibile che gli stessi avversari politici (esclusa Forza Italia che ha a capo un pregiudicato) tacciano? Possibile che nessuno abbia avuto l’onestà intellettuale, il coraggio, la capacità di dire semplicemente la verità?
11) Eppure una verità così significativa per il futuro politico dell’Abruzzo è stata sottaciuta fino ad oggi, giorno nel quale Renzi ha restituito un minimo di dignità alla politica e un minimo di moralità al PD nel caso Sardegna.
12) Nello specifico: è stato accertato che Luciano D’Alfonso abbia commesso il reato di finanziamento illecito al partito politico “La Margherita” di cui all’art 7 della Legge n. 195/1974, infatti a pag. 195 della sentenza ‘Housework’ si legge in maniera inconfutabile: “il reato sub S bis è integrato, quand’anche estinto per intervenuta prescrizione”. Inoltre, e peggio, è stata dichiarata l’avvenuta prescrizione per le gravi imputazioni di corruzione per l’esercizio della funzione (di cui all’art. 318 del Codice Penale) e di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 C.P.), con l’aggiunta delle circostanze aggravanti (art. 319-bis C.P.) e del concorso dei due imputati nella commissione del medesimo reato (art. 110 C.P.).
13) Intanto ci chiediamo:perché D’Alfonso non ha rinunciato alle prescrizioni? Sarebbe stato un gesto necessario per chi – come lui – ancora pretende di calcare la scena pubblica ed aspira a governare l’Abruzzo. E perché nessuno (men che meno il PD/PDL) gli ha chiesto né gli chiede di rinunciare alle prescrizioni?
14) È noto, altresì, come il P.M. Gennaro Varone abbia formulato un lunghissimo atto di appello di 298 pagine avverso le pur numerose assoluzioni incassate da D’Alfonso e, al netto delle ulteriori prescrizioni che pure potranno medio tempore intervenire durante i successivi gradi di giudizio, bisogna prendere atto delle accuse pesantissime che vengono ribadite e con le quali occorrerà fare i conti nel processo dinanzi alla Corte d’Appello.
15) Sintetizziamo alcune inequivocabili considerazioni del P.M. Varone relative all’atto di appello avverso la sentenza ‘Housework’:
– il Collegio giudicante del primo grado di giudizio avrebbe avuto una “disposizione di particolare benevolenza culturale verso la classe dirigente” dalla quale sarebbe derivata una “pronunzia di primo grado, che ha ingiustamente fatto tabula rasa dell’impostazione accusatoria” (per Varone le prove dimostrerebbero invece che D’Alfonso era al vertice di una associazione a delinquere nella quale carriere e incarichi elargiti avrebbero avuto quale contropartita vantaggi personali ottenuti);
– la sentenza di primo grado avrebbe illogicamente considerato le presunte tangenti degli imprenditori con “la formula magica” di comportamenti “riferibili alla politica”;
– “Che Luciano D’Alfonso abbia vissuto con il denaro della zia, come sostenuto dalla difesa e dall’imputato, è un argomento così ridicolo da non meritare alcun commento”;
– “Tutto il processo gronda di richieste e dazioni di denaro, di torbidità delle condotte amministrative e soprattutto di deliberata opacità di quelle personali spiegabili soltanto con la necessità di occultare illeciti”;
– “Non è ordinario che un sindaco si rechi in banca a versare mazzette di banconote per migliaia e migliaia di euro, che un sindaco esegua acquisti in contanti per svariate decine di migliaia di euro senza alcun prelievo proprio o dei propri familiari, che un sindaco asserisca, senza battere ciglio, che vacanze costose gli siano state interamente pagate da un facoltoso imprenditore, Carlo Toto, che si appresta a partecipare e vincere uno dei più importanti appalti della città. Anche il più ingenuo capirebbe che sono entrate illecite”;
– “È inconsistente l’argomento secondo cui l’impresa che regala lo ha fatto – o potrebbe averlo fatto – per mera amicizia, o per riconoscenza, o per non si sa che. Come se questa ipotesi (data la qualità delle regalie) abbia mai avuto genuina corrispondenza in una qualunque nostra concreta esperienza ostensibile o anche semplicemente personale. Chiunque può constatare, ogni giorno e senza eccezioni, il contrario: chi dà, quando attende, lo fa per comprare o sdebitarsi”;
– “Si può dire che i Toto erano a completa disposizione di D’Alfonso per ogni sua esigenza economica. D’Alfonso disponeva della cassaforte di Toto” (per la Procura è inoltre impensabile credere che i rapporti “amicali” tra D’Alfonso e i Toto non implicassero una componente affaristica per cui l’ex sindaco sarebbe stato “sul libro paga dei Toto” ottenendo in cambio viaggi e regali che non possono che essere stati “atti corruttivi”);
– Sull’acquisto a prezzo stracciato della villa di Lettomanoppello da parte di D’Alfonso “il tribunale non ha colto l’eccezionale qualità delle prove documentali, è sufficiente guardare la villa per capire che non poteva costare 290 mila”.
16) Conseguenze clamorose: Luciano D’Alfonso non potrà in nessun modo rappresentare la candidatura del PD alla Presidenza della Regione Abruzzo, perché in caso contrario l’intero PD e in primis Matteo Renzi sconfesserebbero la linea di legalità e pulizia adottata in Sardegna. Tanto più che il caso D’Alfonso, come sopra esposto, presenta profili di responsabilità penale e morale ben più gravi e consistenti rispetto al caso Barracciu.
Paolo Borsellino sosteneva che i partiti dovessero fare pulizia al loro interno, eliminando dalle liste coloro che avevano problemi con la giustizia: “Gli stessi partiti non devono ritenere meritevoli di consensi quelle stesse persone solo per il fatto che siano state assolte nelle inchieste giudiziarie in cui erano coinvolte. I partiti sono chiamati infatti a valutare le eventuali colpe morali di costoro”.
Renzi ha iniziato l’opera di pulizia e per D’Alfonso è il tramonto politico.