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Pescara, 18/12/2025
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Data: 02/01/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Napolitano avverte: resterò non a lungo serve coraggio per fare le riforme. Quel «non ci sto» a M5S e azzurri. E torna l’ipotesi delle dimissioni. Boicottaggio flop, audience mai così alta

«Il 2013 anno tra i più pesanti, folle sprecare la strada fatta. I sacrifici tocchino pure la politica. Nessuno strapotere, non mi farò condizionare»

ROMA Un dato di cronaca politica che a suo modo si fa storia: mai era successo che un capo di Stato arrivasse a quota otto nei suoi messaggi di fine anno. E’ un’ulteriore testimonianza della fase eccezionale che vive il Paese. Giorgio Napolitano ne è consapevole più di tutti e per questo usa il tradizionale appuntamento d’auguri in tv per far risaltare due elementi. Il primo: la vicinanza delle istituzioni rispetto alle difficoltà, economiche e non solo, che attanagliano una fetta sempre più grande di cittadini. Di qui la scelta di leggere alcune delle migliaia di missive che arrivano al Colle. E’ un modo per segnalare che il Quirinale non è né un fortino assediato né un torre d’avorio estranea ai drammi di tante famiglie. La buona politica, sembra dire il presidente, quella che annulla il populismo è fatta anche di queste cose: della capacità di ascolto a dispetto all’autorefenzialità. Il secondo: il 2013 è stato annus horribilis; quello che si apre può segnare una svolta a patto che si materializzi «il coraggio di cambiare». Dote che devono mostrare i cittadini «perché è l’ingrediente migliore per far scattare la ripresa»; e che in particolare deve mettere in campo la politica attraverso le riforme: costituzionali ed elettorale, con un medesimo grado di priorità. Poi la conferma: non esiste un ”Re Giorgio”: «Non resterò a lungo al Quirinale».
«NO AL TUTTI CONTRO TUTTI»

Un pressing, quello del Colle, che mai come stavolta è forte e deciso. La necessità delle riforme ha assunto caratteri di emergenzialità, ed è per questo che Napolitano punta il dito contro il bacillo - che in molti, troppi passaggi appare inarrestabile - della polemica distruttiva, del tutti contro tutti «che lacera il tessuto istituzionale e la coesione sociale». Con un doppio rischio. Da un lato, di dare un «dissennato» e micidiale colpo di maglio ai positivi risultati ottenuti in questi mesi dall’azione di governo e che il capo dello Stato quantifica in un dato numerico denso di significato politico ed economico: «Il risparmio di oltre cinque miliardi sugli interessi da pagare sul debito pubblico». Sarebbe una follia disperdere tanto bottino, oltretutto ottenuto a costo di enormi sacrifici. Questo gorgo di irresponsabilità è alimentato non solo da chi punta allo sfascio e non vuole il bene dell’Italia ma anche chi parla in maniera avventata di elezioni anticipate nei prossimi mesi: è questo l’indiretta accusa che le parole di Napolitano trasmettono.
«NESSUNO STRAPOTERE»

Il presidente della Repubblica sa bene di essere finito nel mirino di chi lo critica per essere il detentore del copyright delle larghe intese: da Grillo che ne chiede l’impeachment a Berlusconi che lo definisce un traditore. «Sono attento a considerare ogni critica o riserva, obiettiva e rispettosa, circa il mio operato - scandisce Napolitano - ma non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da ingiurie e minacce». Compresa quella «ridicola» delle «pretese di strapotere personale». Anche perché, sottolinea, «anche se qualcuno finge adesso di non ricordarlo», se è rimasto al Colle, unico presidente della Repubblica rieletto, è stato solo per spirito di servizio, per evitare il vuoto di potere politico abbinato a quello istituzionale. E’ il passaggio forse più significativo del messaggio. «Sono oggi ancora qui per ribadire che resterò Presidente fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile, e fino a quando le forze me lo consentiranno. Fino ad allora e non un giorno di più; e dunque di certo solo per un tempo non lungo».

Quel «non ci sto» a M5S e azzurri. E torna l’ipotesi delle dimissioni

ROMA La tentazione - si dice - era stata quella di replicare con uno sdegnato silenzio alla campagna di minacce di accuse, di veleni che fino all’ultimo ha accompagnato l’ottavo messaggio di Capodanno agli italiani, primo del nuovo settennato. Poi Giorgio Napolitano - più che mai convinto della pretestuosità degli attacchi sfascisti rivolti non tanto alla sua persona quanto all’istituzione che rappresenta - ha deciso di seguire la via del chiarimento diretto e frontale. Ha inserito nel testo del suo discorso quella frase, evocatrice dello scalfariano «non ci sto», in cui ribadisce la ferma volontà di «non lasciarsi condizionare da campagne calunniose, ingiurie e minacce». Un promemoria, un altolà a grillini e forzisti. Ma non basta. Nel discorso di Capodanno torna a farsi plausibile l’ipotesi di una fine anticipata del mandato non certo per velleitarie e improponibili procedure d’impeachment bensì per decisione autonoma e meditata dello stesso inquilino del Colle. La carta delle dimissioni come impulso o «moral suasion» nei confronti dei partiti perché realizzino finalmente le riforme di cui il Paese ha bisogno.
Di fronte a chi finge di non ricordare quanto accadde appena otto mesi fa, quando i rappresentanti di un ampio schieramento (Bersani e Berlusconi «in primis») lo supplicarono di accettare una nuova investitura e lo elessero con il 72 per cento dei voti parlamentari, Napolitano risponde che egli rimane coerente con gli impegni presi e con i «limiti» che sin da allora aveva fissato per la sua permanenza sul Colle. Limiti e «paletti» connessi alla volontà dei partiti di procedere realmente nel percorso delle riforme istituzionali (nuova legge elettorale, riforma del Senato, riduzione del numero dei parlamentari) e alle condizioni di salute personale di un uomo avviato verso le ottantanove primavere.
Dunque: nel momento in cui si dovesse accorgere che l’obiettivo delle riforme è destinato, ancora una volta, a naufragare Napolitano ne trarrebbe le conseguenze. Cioè si dimetterebbe. Ora questo ragionamento, fin qui noto nelle sue linee essenziali, sembra essersi affinato o - se si vuole ancora meglio precisato - perché nel messaggio di Capodanno il capo dello Stato assicura formalmente che egli resterà sul Colle per il tempo necessario, non un giorno in più e «di certo solo per un tempo non lungo». Quanto tempo? «Il tempo non lungo è relativo al settennato», spiegano le fonti quirinalizie. Quindi niente dimissioni dietro l’angolo. Ma è evidente che una risposta definitiva non la può dare soltanto Napolitano. Sono aumentate fibrillazioni e le incognite con una maggioranza più ristretta e una nuova leadership nel Pd. Bisognerà vedere se funzioneranno i patti di coalizione, se il governo Letta avrà il supporto necessario e se sarà in grado di agire sul piano delle riforme. Nel giugno scorso, lo stesso Napolitano aveva concordato con Letta nell’indicare in diciotto mesi un termine ragionevole entro il quale si sarebbe dovuto avviare a completamento l’iter delle riforme. Ora i tempi sono diventati più stretti, soprattutto dopo la bocciatura del Porcellum da parte della Consulta. Ha ragione Emanuele Macaluso (molto vicino a Napolitano) a ritenere possibile un primo «redde rationem» nell’estate prossima cioé dopo le elezioni europee? Per ora è solo un’ipotesi, quel che sembra certo è che i prossimi dodici mesi saranno decisivi per la sorte delle riforme e quindi per la permanenza di Napolitano al Quirinale.

Boicottaggio flop, audience mai così alta

ROMA Mezza Forza Italia (smentita, va detto, dall’altra metà, secondo cui «il presidente si ascolta e poi, semmai, si critica») aveva lanciato la campagna anti-Quirinale, al grido di «spegnete re Giorgio, accendete il tricolore». Poi c’erano stati i soliti grillini, che Beppe in testa si erano mobilitati per un contro-messaggio web del loro leader («Napolitano faccia come Cossiga e lasci prima dell’impeachment». E invece, nonostante i boicottaggi multipli annunciati, il messaggio di fine anno di Giorgio Napolitano non è mai stato tanto ascoltato.
Trasmesso a reti unificate dalla Rai, ma anche da Canale 5 e La7, il tradizionale intervento del capo dello Stato è stato seguito sui soli canali Rai da 7 milioni 149mila spettatori, con un aumento del 12,2% rispetto al messaggio pronunciato l'anno precedente. Nel 2012, invece, gli ascolti si erano fermati a 6 milioni 373mila, vale a dire 776mila in meno rispetto a martedì sera. Nel complesso, invece, su tutte le reti generaliste (e dunque incluse Mediaset e La7), il messaggio ha interessato 9 milioni 981mila telespettatori, contro i 9 milioni 702 del 2012: sono stati pertanto registrati 279mila spettatori in più, con un incremento - più contenuto rispetto alle sole reti Rai - del 2,8 per cento. Andando poi a esaminare i dati delle singole reti emerge che su Canale 5 gli spettatori sono stati 2 milioni 637mila, su La7 692 mila. Ma raffrontando tali cifre, emerge che quest'anno gli ascolti sono cresciuti sulla Rai e su La7 (più 14mila), mentre sulla sola Canale 5 hanno subìto una flessione di circa 460mila spettatori.
Ieri il Presidente della Repubblica,accompagnato dalla signora Clio, è giunto a Napoli dove trascorrerà un periodo di riposo nella residenza di Villa Rosebery. Il Capo dello Stato dovrebbe trattenersi fino al giorno dell'Epifania. È una tradizione, quella di un breve soggiorno a Napoli a inizio d'anno, che Napolitano ha sempre rispettato con l'eccezione del 2008 quando si trasferì a Capri.

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