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Pescara, 16/05/2025
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Data: 05/01/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
L’ira di Stefano: partito padronale Cuperlo lo difende: serve rispetto

Forse mai prima di lui un esponente dell’esecutivo aveva rilasciato il primo giorno dell’anno una intervista (pubblicata su l’Unità del 2 gennaio) con questa dichiarazione nelle prime righe: «Tutti vogliamo una svolta ma non si può andare avanti con questo gioco in cui dalla segreteria Pd si fanno delle caricature distruttive dell’azione del governo». Posizione ribadita e spinta fino all’esplicita richiesta di un rimpasto ieri mattina dalle colonne di Repubblica.
Lo spiccio «Fassina chi?» di Matteo Renzi al quale solo seguite le «irrevocabili dimissioni» del viceministro somiglia dunque moltissimo ad un assist. E Fassina ieri in una intervista a Lucia Annunziata per l’Huffington Post, non lo ha nascosto. «Io avevo posto un problema politico. Il segretario del mio partito ha risposto senza rispetto non solo delle mie opinioni ma anche della mia persona. Visto che nel governo ci sono in rappresentanza del Pd, ho preso atto. È già difficile gestire l’attività di governo nelle condizioni date, immaginiamo in futuro dopo queste parole». E ancora: «Nessuna rabbia da parte mia. Il Pd non è ancora diventato un partito padronale e io non mi ci rassegno». A difenderlo - non sul rimpasto, ma sullo sgarbo ricevuto da Renzi - ieri è sceso in campo anche Gianni Cuperlo, presidente del Pd e punto di riferimento dell’ala del partito cui Fassina aderisce. «Sono colpito per le dimissioni. E ancor più dispiaciuto per l'episodio che le ha generate - ha sottolineato Cuperlo - In un partito servono le idee ma, assieme, serve il rispetto per le persone. Tutte, a cominciare da quelle che fanno parte della tua stessa comunità. Oggi la battuta del segretario del nostro partito non è stata una traduzione felice di questo spirito. Mi auguro si tratti di un incidente e nulla più».
Nel Pd non tutti sono così diplomatici. Meno che mai, ad esempio, Matteo Orfini, esponente della (ex)corrente dei Giovani Turchi nella quale Fassina ha militato fino all’invenzione delle Larghe Intese. «Quella di Stefano è una decisione che non capisco - sottolinea Orfini al Messaggero - Il ”chi?” non può esserne causa perché sia io che lo stesso Fassina abbiamo detto di Renzi cose ben peggiori. Se proprio dovessi dimettermi, mi dimetterei sui contenuti dell’azione di governo». Una pausa e poi Orfini piazza il colpo di grazia: «Se il tema è quello che il governo deve fare di più - scandisce - non lo risolvi cambiando i nomi ma facendo alcune scelte e muovendosi conseguentemente a queste scelte».
Al di là degli equilibri politici nel governo e nel Pd, le dimissioni sono un altro episodio di una carriera politica e di governo vissuta da Fassina su posizioni socialdemocratiche classiche rinvigorite dalla battaglia contro l’austerità merkeliana, condita con qualche nostalgia del miglior stile Pci (è noto il suo rispetto verso le regole interne del Pd bellamente ignorate dalla quasi totalità dei suoi colleghi) e che non è stata priva di spigolosità. Fu Fassina a fine primavera del 2012 a rompere la tregua fra il Pd e il governo Monti e a chiedere esplicitamente le elezioni anticipate. E si riferiva proprio a lui Mario Monti quando chiese a Bersani di «tappare la bocca» ad alcuni esponenti democrat. Il coraggio, del resto, a Fassina non manca. Fino a prendersi gli spintoni degli operai dell’Alcoa durante una manifestazione davanti al ministero dello Sviluppo.
Fassina non si è fatto mancare buone dosi di conflittualità neanche con il governo Letta ”accusato” d’essere troppo in linea con l’esecutivo Monti sulle privatizzazioni e di «mancanza di collegialità». Una presa di posizione che già ad ottobre lo portò sull’orlo delle dimissioni evitate solo perché Letta gli assicurò la delega che gli ha consentito di seguire la Legge di Stabilità in Parlamento.
Che farà ora a 47 anni questo bocconiano (in gioventù ha lavorato al Fondo Monetario) di sinistra diventato deputato solo nel marzo scorso? «Politica», dice lui sornione ricordando, forse, le voci che lo volevano candidato anti-Renzi alle primarie in luogo di Cuperlo.

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