L’AQUILA Salvate il soldato Cialente. E il sindaco aspetta di essere salvato. Da un rinnovato consenso plebiscitario, dalla sua maggioranza, dai suoi assessori, da cittadini che lo preghino di restare in nome della ricostruzione. Cialente vuole (ri)sentire attorno a sé la fiducia che, dal giorno dopo le elezioni, non percepisce più. I tre giorni di pausa di riflessione, come in tutti gli amori al capolinea, sono inutili, ma servono per far salire la febbre, tastare il polso al popolo nelle sue reazioni e incassarne la solidarietà. «Ho dato le mie dimissioni, ma le ho subito rifiutate» (Winston Churchill); Cialente non è credibile quando minaccia le dimissioni o le dà, perché, in passato, non le ha poi date o le ha ritirate. Senso di responsabilità o un viscerale legame con la poltrona più alta, remunerativamente scarna, come da busta paga mostrata, e, però, appagante, di grande visibilità, attraente mediaticamente? Massimo Cialente è un capitano che non abbandonerà mai la nave che sta affondando oppure il soldato giapponese che resta a difendere l’isola ignorando che la guerra è finita ed è stata persa?
ANDARE VIA PERCHÉ
Dovrebbe dimettersi perché il Comune è coinvolto e, al di là della presunzione di innocenza dei vari Riga, Placidi, Tancredi e Di Gregorio, le indagini hanno comunque sollevato il coperchio su un sistema, diciamo così, «perlomeno poco dignitoso e opportuno»? Riga era il suo vice sindaco, scelto da lui, così come lo era stato l’assessore Placidi, e così come fu una sua scelta firmare la delega a Tancredi per la ricostruzione, seppur revocata dopo 48 ore, in seguito, tra l’altro, alla sollevazione popolare sul web. È puerile giustificarsi oggi dicendo che firmò su invito di Riga, perché, restando le responsabilità politiche, non ci fa una bella figura. Di Gregorio è una sua creatura, difesa in ogni frangente, anche oggi, e ciò gli fa onore, ma ne dovrà condividere le sorti. «È la prima volta che il Comune viene coinvolto, probabilmente si tratta di un comitato d’affari anche con persone fuori, ma c’era un mio assessore, che avevo scelto io, e la responsabilità è mia» afferma lui stesso. Dovrebbe dimettersi perché i rapporti con il Governo per i fondi insufficienti saranno ancora più difficili, come le dichiarazioni di Trigilia autorizzano a ipotizzare, e c’è un indebolimento del sindaco e della giunta per quanto accaduto. Dovrebbe dimettersi perché «sapeva, non poteva non sapere», che è un teorema spesso della magistratura, non condivisibile, ma in questo caso politicamente logico, se è vero che Cialente è stato sentito nel corso dell’inchiesta e in città si annusava il sospetto nell’aria.
RIMANERE PERCHÉ
Non dovrebbe dimettersi per l’onestà personale mai scalfita, neanche da questa inchiesta, e l’unica sua colpa, semmai, è di essersi fidato di persone che non lo meritavano. La sua abnegazione devota è poi certa con sofferenze e privazioni personali. Non dovrebbe dimettersi perché l’arrivo del commissario sarebbe deleterio nel momento in cui la ricostruzione attraversa il periodo più buio per mancanza di fondi e c’è un bilancio alle porte. Non dovrebbe dimettersi perché ha conoscenza dei problemi, esperienza e relazioni che nessun altro ha e potrebbe avere in breve tempo. Perché se alcuni cittadini sono pronti a raccogliere firme sul web per chiederne le dimissioni, la stragrande maggioranza ha ancora fiducia in lui. Sulla bilancia cosa peserà di più? Certamente al soldato Cialente non sarà concesso e perdonato un tira e molla. Il governo di salute pubblica può essere la strada maestra?