L’AQUILA I messaggi sulla bacheca Facebook del sindaco Massimo Cialente si susseguono e si alternano tra chi ne chiede la testa e chi gli chiede di resistere. Dimostrazione che la città si sente coinvolta e ferita da una delle più tristi pagine della sua storia, quella sull’inchiesta su appalti e corruzione. E mentre si diffonde la petizione on-line per chiedere le dimissioni del primo cittadino sul sito Change.org (la più grande piattaforma di petizioni al mondo), con l’argomentazione che «le persone finite sotto inchiesta o agli arresti domiciliari ricoprivano ruoli chiave che non potevano essere ottenuti senza l’avallo politico del sindaco e per questo Cialente deve sentirsi “responsabile” politicamente degli errori commessi», oggi si mobilita proprio quella parte di città che gli chiede di fare un passo indietro. Alle 17 a piazza Duomo si terrà un’assemblea aperta organizzata dai gruppi consiliari Appello per L’Aquila e L’Aquila che vogliamo e dall’Assemblea cittadina, il Comitato 3e32 e il Consiglio civico. Facile capire di cosa si discuterà: della necessità di «un cambio di passo radicale». «Solo un cambiamento netto di persone e metodi, legittimato dal voto popolare, può restituire a questa città la dignità necessaria per pretendere una ricostruzione certa», si legge in una dura nota congiunta, in cui si punta il dito «al di là delle responsabilità penali ancora da accertare», su un «sistema di potere, politico ed economico, che ha badato finora solo a soddisfare gli appetiti di pochi che fanno affari; mentre la città continua a impoverirsi e i giovani cercano un futuro altrove». Dunque, un’assemblea aperta a tutta la cittadinanza per «condividere le prossime azioni di contrasto e di proposta»: ma anche di contrapposizione a quei «rappresentanti della maggioranza al governo» che hanno avuto «reazioni tese a minimizzare» la responsabilità dell’amministrazione e del sindaco sull’inchiesta «Do ut des». «Inammissibili» sono pure le reazioni «stupite dell’opposizione di centrodestra, nelle cui fila è arruolato uno dei principali inquisiti», commentano in una nota gli organizzatori. Che vanno oltre e criticano «la farsa del cronoprogramma della ricostruzione, un’idea di sviluppo fondata su progetti opachi, le inadempienze sul Piano di protezione civile». La credibilità dell’amministrazione è ormai «definitivamente compromessa e le conseguenze ricadranno sulla vita dei cittadini e sulla rinascita del territorio», prosegue la nota. «C’è una città sana che è stata tradita», ora la speranza è di «riprendere il percorso per costruire un’alternativa, ormai indispensabile». Intanto il Comitatus aquilanus denuncia «la logica sistemica che ha attanagliato la nostra città e che ritroviamo nell’amministrazione episodica dell’urbanistica».
Pandolfi: «Se il sindaco decide di andar via devono seguirlo Chiodi e Del Corvo»
«Massimo Cialente non può valutare in due soli giorni se dare le dimissioni: con la responsabilità del secondo mandato che ha avuto dai suoi cittadini se ne deve prendere anche tre o quattro, insomma ci pensi bene». Questo l’appello rivolto al sindaco dalla presidente della Commissione di vigilanza del consiglio provinciale Lucia Pandolfi (nella foto), in relazione all’inchiesta giudiziaria «Do ut des» e all’ipotesi che Cialente possa lasciare il suo incarico. Quanto alle richieste di dimissioni arrivate da esponenti di centrodestra, la Pandolfi sostiene che «non porterei queste cose su uno scontro partitico, sono fatti troppo gravi». E aggiunge: «Il presidente della Regione Gianni Chiodi avrebbe dovuto dimettersi subito dopo gli arresti degli assessori, la stessa cosa avrebbe dovuto fare il presidente della Provincia Antonio Del Corvo, dopo le vicende giudiziarie del direttore generale».
Il giudice: cerchiamo altre tangenti nascoste
Appalti e corruzione, l’ordinanza indica gli sviluppi immediati dell’inchiesta L’ipotesi: tracciabilità ostacolata per occultare pagamenti a pubblici funzionari
L’AQUILA «Cercate le tangenti nascoste». Quattro righe dell’ordinanza del gip Giuseppe Romano Gargarella tracciano la strada – che ovviamente gli investigatori già hanno imboccato – degli sviluppi futuri dell’inchiesta su appalti e corruzione che ha portato a quattro arresti (ai domiciliari) e ad altrettanti avvisi di garanzia nell’ambito della tormentata ricostruzione post-terremoto. Indagine che, in attesa degli interrogatori di garanzia, che inizieranno lunedì mattina a palazzo di giustizia, è destinata a riservare altre sorprese. È lo stesso gip a scriverne, a pagina 46 della sua ordinanza. «Occorre altresì ricostruire i percorsi e le destinazioni finali delle somme provento del terzo Sal (stato di avanzamento dei lavori, da 1,3 milioni di euro, ndr), le cui vicende, invece, sono molto più recenti, anche per verificare se gli ostacoli frapposti alla tracciabilità delle somme siano stati posti per occultare pagamenti effettuati in favore di pubblici funzionari». Il gip aggiunge subito dopo: «Per tale ragione urgono ulteriori indagini, il cui buon esito potrebbe essere pregiudicato dalla libertà di intervento degli indagati, anche alla luce del fitto reticolo di connivenze che tutti hanno dimostrato nel tempo. Inoltre, occorre procedere ad atti investigativi urgenti, che potrebbero essere pregiudicati qualora gli indagati per cui si chiede la misura cautelare siano liberi». Inoltre, per il gip, i quattro ai domiciliari (Pierluigi Tancredi, Daniela Sibilla, Vladimiro Placidi e Pasqualino Macera), «se in libertà, potrebbero con estrema probabilità intervenire presso i correi o comunque presso gli uffici pubblici e i funzionari ivi presenti al fine di pregiudicare la genuinità degli accertamenti. Tutto sarà fatto entro il 23 gennaio. I primi a essere interrogati saranno il dirigente comunale Mario Di Gregorio, l’ingegnere Fabrizio Menestò, direttore dei lavori per Palazzo Carli, e l’ormai ex vicesindaco Roberto Riga. Insomma, un nuovo capitolo della vicenda portata alla luce dalle indagini della squadra Mobile diretta da Maurilio Grasso sta per essere scritto. IL MILIONE. Il malloppo su cui il gip chiede approfondimenti è il milione e 290mila euro del terzo stato di avanzamento dei lavori. La messa in sicurezza della storica sede del Rettorato (Palazzo Carli) è il fulcro della complessa indagine. Lavori affidati alla ditta Silva fino a quando, «dopo l’intervento dell’ingegnere Di Gregorio», com’è scritto nelle carte dell’inchiesta, l’impresa fu affiancata dalla Steda del sedicente corruttore Lago, indagato. Ufficialmente perché l’impresa Silva non poteva effettuare lavori oltre i 600mila euro (OG2 di categoria II). Questo accadeva tra fine ottobre e inizio novembre 2009. Da qui le prime anomalie. LA FATTURA MANOMESSA. Secondo la tesi accusatoria, e le dichiarazioni di Lago, i tre stati di avanzamento dei lavori sono stati «diversamente ripartiti» dal punto di vista contabile. Quel che rileva è il terzo. La contabilità relativa fu predisposta dalla ditta Silva, che aveva lavorato. Tuttavia, come riferito dallo stesso imprenditore agli investigatori, al terzo Sal fu fatta rientrare anche la Steda. A fine dicembre fu emessa la fattura da 1 milione e 290mila euro. «Solo dopo», rivela l’imprenditore Silva, «scoprirò che, a nostra insaputa, nell’aprile 2010 verrà riemessa la stessa fattura con una data posticipata e dalla quale era stata omessa l’indicazione della banca cui effettuare il bonifico». La storia della fattura «manomessa» (difficilmente si sarebbe potuta giustificare la realizzazione di lavori per 1,3 milioni in 20 giorni, di qui il posticipo di 4 mesi) è oggetto di uno specifico filone d’indagine. I soldi, per l’accusa, sono finiti su un conto non intestato alla Steda, passando attraverso una cessione del credito (non realizzabile trattandosi di soldi vincolati) senza informare la ditta Silva. Illuminanti le parole di Daniela Sibilla a Tancredi in cui si afferma che Lago avrebbe potuto dimostrare che «il milione e due l’ha ricacciato...» (ossia utilizzato per spese più o meno lecite e che gli avrebbero garantito ulteriori lavori, annota il gip), «e che l’ha dovuta fare ’sta cosa perché siccome gli avevano fatto promesse di altri lavori che poi non sono venuti...no? I funzionari comunali per...per far sì che Silva si possa piglia’ i soldi?...». IL CONTO DELLE TANGENTI. Macera 60mila euro; Tancredi 253mila euro (di cui 200mila in Map); Sibilla 12mila euro; Placidi 24mila euro; Riga 10mila euro, per un totale di 359mila euro sui 450mila promessi. Queste le cifre delle tangenti tracciate, secondo quanto riportato nel capo d’imputazione. Per la «mediazione» di Tancredi erano previsti fisso mensile e saldo all’erogazione del contributo: 7200 euro e il resto pagato con un acconto del 20% alla firma del precontratto stipulato tra Steda e committente privato; il 30% per cento al riconoscimento da parte del Comune del contributo; saldo a erogazione del contributo per il pagamento del primo stato di avanzamento dei lavori.