TORINO I maligni sostengono che era solo questione di tempo prima che scandali e veleni mettessero la parola fine al governo di Roberto Cota in Piemonte. Quello che è certo è che i quasi quattro anni di mandato della giunta del governatore leghista sono stati segnati da un susseguirsi di inchieste giudiziarie cha hanno travolto assessori e consiglieri regionali. L’ultima in ordine di tempo è l’indagine della procura di Torino sui rimborsi dei gruppi regionali per la quale il governatore potrebbe trovarsi presto davanti ai giudici per peculato.
LE INDAGINI
Uno scandalo che ha travolto l’intero Consiglio regionale con verifiche sull’attività di 57 consiglieri su 60. Ma a farsi più male è stata proprio la maggioranza di centrodestra, soprattutto a indagini chiuse. Tra i 43 consiglieri regionali che a fine novembre hanno ricevuto l’avviso di chiusura indagini per le spese pazze messe a rimborso, oltre allo stesso Cota, ci sono tutti gli 11 esponenti del Carroccio, e ben 19 dell’ex Pdl. Si salvano grillini e Pd, fatta eccezione proprio per Mercedes Bresso a cui viene contestato il finanziamento illecito ai partiti per 9mila euro di foto e video fatti in campagna elettorale. A giorni i magistrati dovrebbero far partire le richieste di rinvio a giudizio. Nel mirino circa un milione e mezzo di euro di fondi pubblici che secondo la procura torinese sarebbero stati usati dai consiglieri non per l’attività istituzionale ma per spese personali. Un conto poco lusinghiero tra mutande verdi e gioghi da bue, videogiochi per intrattenere i figli durante le riunioni di partito, frigoriferi e centri benessere, senza contare le centinaia di pranzi, cene e caffè.
I PRECEDENTI
Ma la lunga notte della giunta Cota era iniziata appena un anno dopo le elezioni. Alla fine di maggio 2011 uno scandalo aveva travolto la sanità piemontese svelando quello che gli inquirenti avevano definito un sistema di favori e corruzione. L’allora assessore alla Sanità, Caterina Ferrero, viene arrestata dopo essere stata indagata per turbativa d’asta e abuso in atti d’ufficio. In carcere finisce anche il suo braccio destro, Piero Gambarino, ritenuto il deus ex machina degli affari del mondo sanitario piemontese. Qualcosa di più di un’ombra che incombe sulla giunta di Cota.
Senza contare che negli stessi giorni i carabinieri avevano arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa il suocero di Caterina Ferrero, l’ex potente sindaco di Leinì Nevio Coral, finito nelle maglie della maxi operazione Minotauro sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel torinese e poi condannato di recente a 10 anni di carcere.
IL RIMPASTO
Il governatore leghista aveva preso subito le distanze dal suo assessore accettandone le dimissioni e nominando un tecnico alla guida della sanità piemontese. Ma non era la pace il destino degli assessori piemontesi. Neanche un anno dopo, era la primavera 2012, l’allora assessore all’Innovazione, Massimo Giordano, viene indagato per corruzione per fatti risalenti a quando era sindaco di Novara e si dimette. A novembre scoppia lo scandalo sulla riscossione del bollo auto, con un’ombra sui rapporti dei dirigenti della società che gestiva la tassa automobilistica con un’assessore piemontese. La Regione risulta parte lesa ma ormai il danno è fatto ed è solo questione di tempo: a metà di marzo 2013 Cota è costretto a un rimpasto di giunta per riequilibrare i rapporti tra i partiti. Dieci mesi di ossigeno cancellati ieri dalla decisione del Tar.
«Voto nullo, il Piemonte torni alle urne»
L’ira di Cota e della Lega: «Vergogna, faremo ricorso»
Giunta in carica fino alla decisione del Consiglio di Stato. Dopo quattro anni il Tar cancella il risultato delle regionali
Sì al ricorso di Bresso per irregolarità nella lista dei pensionati
Il Tar ha dichiarato nullo l’esito delle elezioni regionali del 2010 e decretando la decadenza della giunta. Tutto da rifare insomma, i piemontesi torneranno alle urne. Il leghista Cota è livido di rabbia: «Siamo un Paese di matti, questa sentenza è una vergogna. Continuerò a fare il presidente della regione e ricorrerò al Consiglio di Stato». La Bresso si gode il suo momento: «Il verdetto dimostra che il risultato è stato truccato».
DECADENZA
Il ricorso è stato presentato quando sono spuntate firme false nella «Lista dei Pensionati per Cota» di Michele Giovine, poi condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere. A scrutinio completato lo scarto tra i due candidati era di 9.157 schede e decisivi furono i voti raccolti da Giovine, ben 27 mila, determinanti per la vittoria di Cota. Mercedes Bresso si impuntò e sfidando la freddezza del suo partito (il Pd) sulla questione, si rivolse al tribunale amministrativo.
Che ora le dà ragione: «Si accoglie il ricorso principale e si annulla l’atto di proclamazione degli eletti, unitamente agli atti presupposti oggetto di impugnativa ai fini della rinnovazione della competizione elettorale». Consiglio e giunta rimarranno in carica fino alla decisione ultima del Consiglio di Stato, che adesso deve decidere se accogliere la richiesta di sospensiva della sentenza del Tar da parte dei legali di Cota. Se verrà respinta tutti gli eletti della regione, dal governatore in giù, decadranno e se il verdetto sarà confermato le elezioni si terranno probabilmente in primavera, in concomitanza con le europee.
Nel giro di qualche giorno la sospensiva verrà discussa dalla quinta sezione del Consiglio di Stato, mentre per arrivare alla sentenza finale possono passare da uno a qualche mese. «Si andrà al voto il più rapidamente possibile», dice il premier Enrico Letta, sottolineando come una decisione a tre anni e mezzo dal voto è «un tempo incredibile» e «forse bisogna riguardare qualche norma».
IL GOVERNATORE
Nel frattempo la regione potrà occuparsi solo dell’ordinaria amministrazione. «A Cota suggerisco cautela», afferma la Bresso. Perché «atti straordinari potrebbero essere non legittimi, come è accaduto in Lazio alla Polverini». Ma il governatore, secondo la sua sfidante, intende giocare il tutto per tutto: «Mi risulta abbia convocato nel pomeriggio, subito dopo l’annuncio del Tar, una giunta disdetta in mattinata per nominare nuovi direttori. Cota è come una patella attaccato allo scoglio, non se ne vuole andare». Per il presidente, invece, si tratta «di un attacco alla libera espressione elettorale dei piemontesi». La verità, sostiene Cota, è un’altra: «Io non sono dentro alla ”cappa” dei potenti, sono perseguitato da una sinistra che usa sempre gli stessi metodi: quando non riesce a vincere le elezioni usa l’arma giudiziaria». Oggi la Lega chiama a raccolta la base e «tutto il centrodestra» sfilando in fiaccolata a Torino. Il leader del Carroccio Matteo Salvini è già sulle barricate, annusa «puzza di regime» e parla di «attacco finale alla Lega». Il suo pronostico: «Da qui a maggio arresteranno altri leghisti, indagheranno altri sindaci, manderanno ispezioni fiscali. Siamo abituati, però è uno schifo». Con l’uscita di scena del governo Cota sfuma così il sogno leghista della macroregione, il grande asse padano che dal Piemonte arriva al Veneto. La Bresso non è sorpresa: «Erano solo parole e tali sono rimaste».