È arrivata tardi la comunicazione di un incontro fissato con il premier, Enrico Letta fissato per mercoledì, preceduto martedì da un incontro con la direzione nazionale del Pd. Il sindaco Massimo Cialente non intende aspettare fino a lunedì, come preannunciato, per decidere se andare a casa o restare. In un'affollatissima conferenza stampa, convocata d'urgenza di sabato sera, ha annunciato le sue dimissioni. «A Roma è inutile andare, sarei un'anatra zoppa», ha spiegato. Alla base delle dimissioni, che saranno formalizzate nelle prossime ore, c'è l'elenco degli «sgarbi» fatti dal governo non solo alla città dell'Aquila, ma agli aquilani. A turbare il sindaco, che solo qualche ora prima sembrava possibilista sulla sua permanenza negli uffici di villa Gioia, nonostante l'inchiesta giudiziaria, è stato anche il risalto dato dalla stampa nazionale ad una vicenda che riguarda la sua famiglia, e in particolare la pratica della ricostruzione di sua cognata. «Ho capito che rimanere qui è un guaio ed è inutile. Hanno vinto altri. Se non fossi stato sindaco sarei venuto qui a tirare due uova marce».
GLI SCENARI
Cialente ha spiegato che è possibile tornare a votare a maggio avendo avuto rassicurazione su questo punto dal prefetto e di non essere tecnicamente ricandidabile. Il primo cittadino ha ammesso che abbandonare la nave potrebbe essere inteso come un gesto di colpevolezza, ma ha aggiunto di sentirsi un ostacolo per la città. «Ora L'Aquila si guardi dentro - ha aggiunto - Io la lascio con un piano strategico e con la possibilità che arrivino delle imprese. Tenetevi stretta la ricostruzione e un cronoprogramma. Chiedo scusa alle persone che in queste ultime ore mi hanno pregato di non mollare. Ho retto finché ho potuto». «Sparisco per un po’ - ha continuato Cialente - Mi arriveranno ancora parecchie palate di sterco. Mi auguro che il nuovo sindaco ci metta la stessa passione, lo stesso coraggio e la pietas nei confronti degli ultimi di questa città. Ho dato tutto a questa città e ho perso e chiedo scusa per aver perso».
Intorno al sindaco c'erano tutti gli assessori e i consiglieri comunali in lacrime, l'amico di sempre Giovanni Lolli, mentre i lavoratori del polo elettronico gli hanno consegnato una lettera molto commovente. «Ai giovani chiedo di esserlo davvero e di non usare i metodi vecchi di questa città». Un'allusione ai giovani democrat che già prima della ufficializzazione delle dimissioni avevano cominciato a guardare al dopo Cialente. Prima di annunciare, in un crescendo rossiniano, le proprie dimissioni. Il primo cittadino ha ripercorso le tappe della post ricostruzione, dalle promesse di Barca a quelle non mantenute dal governo Letta e agli sgarri del ministro Trigilia che «avrebbe voluto bloccare la ricostruzione dell'Aquila stare al passo con il cratere. Con Trigilia il meccanismo si è incrinato, i soldi per L'Aquila non arrivano più e comincia il rimpallo». Il primo cittadino ricorda i motivi di scontro con il governo, fra cui Accord Phoenix, i fondi del Gran Sasso, il trasferimento, prima del provveditore alle opere pubbliche, poi del direttore Beni Culturali. «I governi recedenti mi hanno sempre risposto al telefono con questo governo non mi ha risposto più nessuno. Il cima è mutato».
Scatta l’applauso dopo l’annuncio in piazza Duomo
L’AQUILA Già in mattinata la città era tappezzata di manifesti con la scritta a caratteri cubitali: "Dimettiamoli". Un modo per preparare la cittadinanza all'assemblea che nel pomeriggio si è svolta nel tendone di piazza Duomo, quasi in contemporanea con la conferenza stampa di dimissioni del sindaco. In piazza sono scesi 500 aquilani che chiedevano a gran voce le dimissioni dell'amministrazione. Un grande applauso ha accolto l'annuncio al microfono della "resa" del primo cittadino.
La manifestazione è stata organizzata dai movimenti civici Appello per L'Aquila, Assemblea cittadina, Comitato 3e32, Consiglio civico e L'Aquila che vogliamo. Presenti comunque numerosi esponenti comunali di maggioranza e opposizione, prima dell'incontro il tam tam su Facebook.
«Non si è dimesso, è la città che lo ha dimesso, e non gli permetterà la solita pantomima che tra dieci giorni le ritira - ha detto Ettore Di Cesare, consigliere comunale di Apl - Stavolta non c'è pantomima: a maggio si va alle elezioni». Vincenzo Vittorini di Lcv: «La città deve farsi sentire in questi venti giorni nei quali il sindaco potrebbe recedere dalle dimissioni perché ci ha abituato a questo. Serve il fiato sul collo - ha incalzato - L'Aquila si deve svegliare. Dobbiamo riscattarci, dobbiamo togliere un'onta e un marchio per la città attuale e futura».
Nel tendone c'era anche il consigliere comunale Antonello Bernardi, anima critica del Pd che tuttavia è stato accolto con fischi e urla: «Andate tutti a casa», è stato il benvenuto. «Ho combattuto per questa città», è stata la sua rivendicazione, mentre la gente gli gridava di uscire dal Pd.
«Quest'assemblea chiede scusa agli italiani, a chi ha fatto donazioni all'Aquila - ha aggiunto Ettore Di Cesare - Chi doveva non ha chiesto scusa, vuol dire che ce ne assumeremo noi la responsabilità». Nessuna paura del salto del buio, del commissariamento dietro l'angolo. Vittorini: «Ci sarà commissariamento come si fa nei comuni in odore di mafia. La gente deve ribellarsi. Questa città si deve svegliare, deve chiedere trasparenza su ogni centesimo dato di cui nessuno sa nulla anche se sono soldi di tutti - ha aggiunto - La città chiede verità e sicurezza. Oggi è cotta, anestetizzata da un sistema in cui non ci riconosciamo». Per poi concludere: «Un fatto che pone L'Aquila in senso negativo nei confronti dell'Italia e dell'Europa - ha concluso - Qui si deve sapere tutto di tutti in maniera trasparente e non deve essere sperperato nessun centesimo. C'è una dignità da riacquistare. I ragazzi di questa città non possono avere il marchio a vita di corrotti o delinquenti».
«Abbiamo lottato tanto come comitati - ha ricordato Annalucia Bonanni del Comitato 3e32 - Abbiamo criticato le lacune di questa amministrazione che non ha saputo gestire la ricostruzione e ora non è più credibile. Il problema non è il sindaco, un assessore o un dirigente. È un sistema corrotto e marcio che deve andare a casa».
Politica e cinema, l’intreccio fatale con il centrodestra. I conflitti con Tancredi ma insieme in molti progetti
L’AQUILA Assessore con due deleghe e cervello della Perdonanza. All’inizio degli anni Duemila si può ben dire che Pierluigi Tancredi sia uno degli uomini più in vista della città mentre Cialente è parlamentare a Roma e di lì lancia strali contro il centrodestra aquilano. Al di là della politica Cialente è comunque amicone con tutti, anche con Gianfranco Giuliante (An) che conosce da bambino e con Giuseppe Placidi. Giuliante e Placidi sono gli uomini di punta del centrodestra sotto le ali del sindaco Biagio Tempesta.
Dopo l'exploit come assessore alla Cultura e gli scandali della Perdonanza, Tancredi continua a rimanere sulla scena politica come presidente dell'Asm, azienda che in questo periodo fa molte assunzioni. Troppe, per Cialente che successivamente nella campagna elettorale del 2007, su questo lo avrebbe attaccato.
Tancredi comunque rimane ancora sulla scena, è presidente della Film commission, costola dell'Accademia dell'Immagine di cui il sindaco Massimo Cialente è presidente. Successivamente Tancredi viene nominato per un periodo anche vice presidente del Tsa.
Dopo il terremoto del 2009 Tancredi siede sui banchi del consiglio comunale con la casacca della Democrazia per le autonomie. Per un momento maggioranza e opposizione decidono di collaborare proponendo un governo di sanità pubblica. La proposta non piace a molti consiglieri di opposizione che sentono odore di inciucio. In molti comunque si mettono a disposizione, fra questi c’è Enzo Lombardi dell'allora Forza Italia, e c’è anche Pierluigi Tancredi. Il 19 giugno 2009, non erano passati nemmeno tre mesi dal terremoto del 6 aprile. All'epoca Cialente è al suo primo mandato da sindaco mentre Tancredi siede in consiglio comunale. L'incarico che Cialente gli affida nel giugno 2009 riguarda «l’attività di supporto e raccordo nell'ambito delle azioni dirette alla salvaguardia del patrimonio artistico». La nomina suscita un vespaio, c’è una vera e propria ondata di indignazione popolare contro Cialente. La scelta del sindaco, dicono in molti, è quantomeno inopportuna, sia perché Tancredi non è un tecnico (ha un diploma da ragioniere) sia perché è già finito in indagini e inchieste giudiziarie. Travolto dal moto di sdegno cittadino, Cialente è costretto a tornare sui suoi passi e a revocare la nomina. Tancredi qualche mese dopo decide di farsi da parte dal consiglio comunale per dedicarsi alla sua attività di mediatore e procacciatore d'affari iscritto all'albo. Invece l'incarico conferitogli da Cialente solo per 24 ore si trasforma in una vera e propria delega che viene spacchettata in seguito da quella per la ricostruzione e affidata all'assessore tecnico Vladimiro Placidi, direttore del Consorzio per i beni Culturali la cui dipendente è Daniela Sibilla, collaboratrice fedele di Pierluigi Tancredi.