PESCARA Strani giorni nell’Abruzzo pre elettorale e post Rimborsopoli. Nell’aria c’è come la sensazione che dell’altro stia venendo a galla. Dopo il botto dell’inchiesta, le confessioni a luci rosse, e il pacco di fatture e scontrini portati dai magistrati è cominciato il tam tam su un’ipotetica indagine, già conclusa ma non ancora resa pubblica, che riguarderebbe i gruppi consiliari della Regione. «Roba forte» si dice in giro, «macché, solo chiacchiere» raccontano altri. Insomma, se è vero che al peggio non c’è mai fine, al meglio non c’è neanche inizio. In effetti l’indice di gradimento dei politici di casa nostra non è mai stato così basso. Forse nemmeno all’epoca di arresti eccellenti che negli ultimi vent’anni hanno praticamente riguardato tutti i palazzi della politica abruzzese. Nessuno escluso. L’insofferenza dei cittadini è al limite di guardia, non tanto per la portata economico-giudiziaria dell’ultima inchiesta. No. C’è soprattutto una sorta di rigetto da parte della gente per quel poco che si è detto, ma soprattutto per quel tanto che non si è potuto raccontare e che ormai è di dominio pubblico. Pettegolezzi, dicerie, storie di amanti, mogli e mariti traditi. Il sale e il pepe della vita, storie di vita quotidiana tra leggenda e mezze verità. Accuse e dicerie dalle quali è impossibile difendersi. Una sorta di romanzo popolare, che appassiona grandi e piccini, ormai sulla bocca di tutti gli abruzzesi. Nessuno escluso. Dopo il contratto del sesso, le interviste choc, le confessioni private e le pubbliche fatture, l’Abruzzo è diventato nell’immaginario italiota la regione a luci rosse. Anche da queste parti non c’è bar dove non si faccia ironia sulle scappatelle extraconiugali dei politici e non c’è manifestazione di protesta che non venga sintetizzata in uno slogan o uno striscione con chiari riferimenti alle prestazioni sessuali dei nostri amministratori. Da qui la paralisi della politica, giustamente timorosa di uscire allo scoperto con pubbliche manifestazioni, ma soprattutto incapace di programmare strategie in vista delle prossime elezioni. Da parte la tornata continentale, a maggio l’Abruzzo sarà chiamato ad eleggere il nuovo governatore e l’intero consiglio regionale. Pescaresi e teramani avranno una scheda in più, quella dove mettere un segno per il loro sindaco. In attesa di tempi migliori, prende tempo il centrodestra, fino a poche settimane fa con le idee ben chiare sulla ricandidatura di Gianni Chiodi e, perché no, anche sulla campagna elettorale. Conti della Sanità in ordine, taglio delle spese, governabilità e finalmente una nuova legislatura per rilanciare una regione che per troppi anni non ha potuto spendere. Poi l’esplosione dell’inchiesta Rimborsopoli, in un primo momento con contestazione di pochi spiccioli rispetto alle spese faraoniche del Batman di turno, ma che all’improvviso ha preso tutta un’altra piega. Pecoreccia e popolana. E per questo molto più difficile da combattere e da far dimenticare alla gente. Da qui il momento di riflessione sulle candidature e il congelamento del governatore Chiodi. Si muove ancora senza tir il centrosinistra, dove Luciano D’Alfonso, pronto ad affrontare le primarie senza avversari, sta praticamente proseguendo la campagna elettorale cominciata in verità già da qualche anno. «Regione ovunque» è il suo slogan elettorale, anche se già in tanti lo hanno ribattezzato «Luciano ovunque», per la capacità dell’ex sindaco di Pescara di partecipare a qualsiasi manifestazione, pubblica o privata. Dalla conviviale dei donatori di sangue alla festa per il maiale ammazzato. «In questi anni ho fatto anche l’esperienza del dolore - scrive Luciano D’Alfonso - I tribunali hanno dimostrato la correttezza del mio operato, proclamando la mia innocenza e restituendomi la possibilità di mostrare a tutti quelli che mi avevano sostenuto che non avevano sbagliato a puntare su di me». Un chiaro riferimento alla sua vicenda politico giudiziaria, ma non una parola sull’inchiesta che ha per ora travolto i suoi avversari. Strani giorni per l’Abruzzo pre elettorale. È come se qualcos’altro potesse venir fuori.