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Pescara, 15/05/2025
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Data: 14/02/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Renzi “sfiducia” Letta oggi la crisi di governo «Usciamo dalla palude tutti insieme». La direzione Pd approva: 136 sì e 16 no Già domenica sera o lunedì mattina il segretario potrebbe ricevere l’incarico. L’amara giornata del premier blindato nel suo ufficio

L’obiettivo: dare vita a un governo che resti in carica fino alla fine della legislatura, il 2018. In serata il tweet del sindaco: «Un Paese semplice e coraggioso, proviamoci»
La minoranza sperava che lasciasse la segreteria del partito ma non lo farà: Lorenzo Guerini sarà nominato coordinatore se Renzi farà il presidente del Consiglio

ROMA «Diventi grande solo quando smetti di fare le cose che ti piacciono, vi chiedo tutti insieme di uscire dalla palude». È con queste parole che Matteo Renzi ha aperto ieri i lavori della direzione del Pd che ha licenziato Enrico Letta con numeri bulgari: 136 a favore, 16 contro e due astenuti. Questa mattina Enrico Letta salirà al Colle per rassegnare le dimissioni nelle mani di Giorgio Napolitano che comincerà quasi subito le consultazioni per il nuovo incarico. Il passaggio sarà brevissimo: Matteo Renzi potrebbe ricevere l’incarico per formare il nuovo governo domenica sera o al massimo lunedì mattina. Alle 15, quando con un certo ritardo Renzi apre i lavori della direzione in diretta streaming il momento è in qualche modo storico e non perché dalla parti dei democratici non si siano consumate lotte fratricide in passato. Ma questo è un unicum: è la prima volta che la direzione sfiducia un premier del suo stesso partito, votando un documento che parla esplicitamente di affidare «la guida del governo agli organi dirigenti appena usciti dal congresso», ovvero lo stesso Renzi. L’obiettivo: dare vita a un governo che resti in carica fino alla fine della legislatura, il 2018. Eppure nel breve spazio degli interventi prima del voto non c’è pathos. Fino all’ultimo gli uomini del segretario hanno sperato di convincere Letta ad ammorbidire la sua posizione mettendo sul piatto persino la poltrona di ministro dell’Economia in cambio di dimissioni senza strappi. Salvo poi smentire l’offerta che pure c’è stata. E fino all’ultimo hanno sperato di non dover mettere ai voti la risoluzione di sfratto per l’ex vicesegretario del Pd di Bersani. «Ti chiediamo un ultimo atto di generosità per il partito» dice Stefano Fassina delle minoranza, rivolto al premier prima della conta. Da Palazzo Chigi però non arriva nessun segnale. E l’intervento di Pippo Civati, contrario all’operazione staffetta, che invoca chiarezza, mette fine ai dubbi e convince Renzi e la minoranza dem che è necessario contarsi. Letta in serata annuncia che salirà al Colle questa mattina per rassegnare le dimissioni nella mani del capo dello Stato. Se il premier ha rinunciato in extremis a sfidare il Pd a un voto di sfiducia in Parlamento è solo perché Giorgio Napolitano lo ha convinto a non farlo. In direzione invece non si è presentato per dare a tutti la possibilità di esprimersi liberamente sul suo governo e sul suo operato. Lo strappo però è destinato a pesare e, terminata la direzione, a largo del Nazareno sono in molti a interrogarsi sul futuro politico del premier che in questa difficilissimo passaggio ha avuto parole di incoraggiamento da Pier Luigi Bersani, ancora convalescente. Per Renzi ora si apre la strada di Palazzo Chigi. «Siamo al bivio: o elezioni o governo per le riforme», dice in direzione il segretario che non lascerà affatto la carica come sperava la minoranza, affidando a Lorenzo Guerini il coordinamento del Pd. «Qualcuno ha scritto dell’ambizione smisurata di Renzi, dell’ambizione smisurata del Pd, vi aspettereste che io smentisca queste parole e invece non lo faccio, c’è un’ambizione smisurata che bisogna avere, la deve avere il segretario come l’ultimo delegato», dice. «Dobbiamo vivere con semplicità e pensare con grandezza», dice in direzione dove ammette che sono in tanti tra i militanti a non capire la necessità di questo passaggio. Renzi però è certo di riuscire a convicere i disillusi. «Siamo di fronte a bivio, dobbiamo accettare la sfida di una legislatura costituente, spiega. Poi, mentre in serata è già a lavoro sulla squadra e sul programma, dopo aver brindato con la segreteria e la ristretta cerchia dei fedelissimi della prima ora alla vittoria appena ottenuta in direzione, Renzi si affida a Twitter: «Un Paese semplice e coraggioso, proviamoci».

L’amara giornata del premier blindato nel suo ufficio

L’irritazione verso il sindaco: «Ha l’ossessione del potere ma durerà poco». Il “no” all’offerta di fare il ministro

ROMA Senza più l’appoggio del Pd e dopo un lungo ed estenuante braccio di ferro con Renzi sul futuro del governo, Enrico Letta prende atto della disfatta e annuncia che oggi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. «A seguito delle decisioni assunte oggi dalla Direzione del Partito Democratico, ho informato il presidente della Repubblica della mia volontà di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del consiglio dei ministri». Alla fine, insomma, Letta, che in queste settimane è stato abbandonato anche dalla Confindustria e dalla Cgil, sceglie un’uscita di scena istituzionale e senza spargimento di sangue, visto che rinuncia a farsi sfiduciare in Parlamento. Decide, insomma, di congedarsi in punta di piedi e senza alzare la voce. Ma qualche sassolino dalla scarpa se lo vuole togliere. E lo fa parlando con i suoi più stretti collaboratori: «Oggi si è capito che Matteo Renzi ha sempre voluto prendere il mio posto. Ha l’ossessione del potere ma durerà poco...». E ancora: «Io sono stato nella palude per colpa del Pd» si lamenta Letta, che esclude di abbandonare il suo partito per dare vita ad una formazione di centro e fa sapere che non correrà per le europee né per le prossime primarie del Pd. Poi, dopo aver salutato i dipendenti di Palazzo Chigi, Letta, via Twitter, «ringrazia» i suoi sostenitori «per i tanti messaggi ricevuti in queste ore». Il giorno più lungo per il premier comincia prestissimo. Dopo aver detto, due giorni fa, che la sua eventuale “sfiducia” doveva essere formalizzata con un voto dalla Direzione del Pd, Letta ieri mattina ha visto arrivare nel suo studio i capigruppo del Pd, Roberto Speranza e Luigi Zanda e il portavoce della segreteria, Lorenzo Guerini. Obiettivo della missione: riuscire a convincere Letta a fare il passo indietro senza aspettare il voto della direzione. Una proposta che sarebbe stata accompagnata dall’offerta di fare il ministro dell’Economia nel Renzi I. Ma la risposta è stato un secco no e la delegazione dei “pontieri” è dovuta tornare a largo del Nazareno a mani vuote. A quel punto è evidente che il “chiarimento” tanto atteso non può avvenire in direzione (dove Renzi liquida l’esperienza dell’attuale governo in 20 minuti) e infatti Letta dà forfait: «Preferisco aspettare a palazzo Chigi le determinazioni che verranno prese in modo che tutti si sentano liberi di esprimere valutazioni e di esplicitare le decisioni che ritengono opportune». Una scelta che evita “duelli” in Direzione ma viene subito criticata da Roberto Giachetti, che via Twitter ironizza citando un vecchio film di Nanni Moretti: «Mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo?». Dopo la decisione di evitare con Renzi uno scontro diretto, Enrico Letta preferisce rimare blindato nel bunker di palazzo Chigi in compagnia dei suoi più stretti collaboratori. E così finisce per assistere passivamente al “processo” al suo governo che il segretario Pd celebra in diretta streaming. Mentre al Nazareno va in scena la direzione, con Renzi che respinge l’ipotesi della staffetta e propone «un nuovo governo che duri fino al 2018», le voci di un passo indietro di Letta si rincorrono e il sito del Financial Times annuncia che il premier ha cancellato la sua visita ufficiale a Londra prevista per il 24-25 febbraio. Amareggiato ma convinto di aver fatto in 10 mesi il «massimo di ciò che si poteva fare nelle difficili condizioni date», il premier resta asserragliato nella sede del governo, dove nel pomeriggio si precipita Angelino Alfano insieme ai ministri Lupi e Quagliariello. Il vicepremier resta quasi un’ora e quando esce difende il lavoro fatto insieme ad Enrico:«E’ una situazione kafkiana. Letta lascia quando torna su il Pil». A palazzo Chigi, invece, non si fa vedere Dario Franceschini

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