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Data: 14/02/2014
Testata giornalistica: Il Tempo
Renzi caccia Enrico: «Niente staffetta Il mio è un cambiamento radicale». Letta si dimette: io uomo di Stato Matteo vuole solo le poltrone

Game over. Ma anche tutto l’opposto, a guardarla dal punto di vista di Matteo Renzi. Il governo Letta finisce nel modo più traumatico. Nessuna staffetta, nessuna soluzione politica concordata. Il premier non fa alcun passo indietro, aspetta il voto della direzione del Pd, una prova di forza vinta dal segretario. Ben 136 i voti a favore del documento messo ai voti da Renzi per chiedere il cambio a Palazzo Chigi. Solo 16 i voti contrari - quelli dell’area Civati - e 2 gli astenuti: Stefano Fassina e la bindiana Margherita Miotto. I lettiani escono prima dalla sala e non partecipano al voto.

Finisce csì l’èra di Enrico Letta alla guida del governo. Inizia il ciclo di Renzi a Palazzo Chigi. «Non è un processo al governo, non si tratta di dare colpe al governo per ciò che è accaduto, ma di capire se siamo in condizioni o meno di aprire una pagina nuova. La staffetta è quando si procede nella stessa direzione e alla stessa velocità, non quando si prova a cambiare il ritmo - è il de profundis del segretario per l’ormai presidente del Consiglio uscente - La direzione del Pd ringrazia il premier Letta per il notevole lavoro in un esecutivo di servizio nato in un delicato momento politico economico e sociale e per l’apporto dato a questo impegno, assume Impegno Italia come utile contributo e rileva la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova», dice Renzi leggendo il testo del documento da votare per sfiduciare di fatto il premier, chiedendogli un passo indietro che verrà annunciato poco dopo il voto della direzione da Letta che stamattina salirà al Colle per dimettersi.

Il documento proposto da Renzi «rileva la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo che abbia la forza politica per affrontare i problemi del Paese con un orizzonte di legislatura, da condividere con l’attuale coalizione di governo e con un programma aperto alle istanze rappresentate dalle forze sociali ed economiche» e «invita gli organismi dirigenti, legittimati dal Congresso appena svolto, ad assumersi tutte le responsabilità di fronte alla situazione che si è determinata per consentire all’Italia di affrontare la crisi istituzionale, sociale ed economica, portando a compimento» le riforme: legge elettorale, Titolo V, trasformazione del Senato, riforme economiche e sociali «necessarie alla promozione di sviluppo, crescita e lavoro».

Renzi non prende mai in ipotesi un Letta bis: tertium non datur , «la strada delle elezioni ha una suo fascino, qualcuno immagina che sia bello poter finalmente affrontarsi e cambiare il Paese attraverso una vitoria piena o netta che ci è sfuggita quasi un anno fa», «ma ci sono alcuni piccoli particolari. Un passaggio elettorale non vede una normativa in grado di garantire la certezza dell’esito. E la riforma avviata è ancorata alla riforma del Senato». Dunque «non c’è la possibilità di un percorso immediato su questo», anche se è una «scelta che, espertiti tutti i tentativi, sta al Capo dello Stato», definito «garante e arbitro».

Renzi chiarisce poi che quello non Letta «non è un derby, siamo di fronte a un bivio, vale a dire se questa è l’occasione chiara per tornare alle elezioni oppure se dobbiamo trasformare questa legislatura in costituente». Il segretario chiarisce anche che «mai il Pd ha fatto mancare l’appoggio al governo, ma se la situazione in cui ci troviamo richiede l’energia e la forza di un cambiamento non è un problema caratteriale ma le regole della politica». Così Renzi è pronto così ad andare a Palazzo Chigi, perché «chi fa politica ha il dovere di rischiare».

Così, vista l’impossibilità di tornare a elezioni, la linea tracciata dal segretario Pd è quella di un «governo di legislatura: una scelta azzardata e difficile. L’ipotesi di questa trasformazione ha senso se puoi dire a tutti che l’obiettivo è il 2018 e di mezzo ci sono le riforme e il tentativo di cambiare le regole del gioco. Il rilancio radicale che immaginiamo non deve suonare come una polemica verso Letta, né dal punto di vista personale, né verso il governo che ha affrontato momenti di grande incertezza e turbolenza».

Renzi ribadisce che «chiedere oggi di cambiare strada è il tentativo di restituire un’occasione alla politica. O il Pd ha un protagonismo forte o questo cambiamento si realizza soltanto a parole. Facciamolo noi. Dobbiamo dare la disponibilità a uscire dalla palude con un cambiamento radicale».

E il Pd? Tutti uniti dietro al segretario. A partire da AreaDem di Dario Franceschini. Col segretario anche i popolari di Giuseppe Fioroni e gli ex Ds con Goffredo Bettini in testa. Sostiene Renzi pure l’area Cuperlo, che però avrebbe volentieri evitato la conta finale per sfiduciare Letta.

Letta si dimette: io uomo di Stato Matteo vuole solo le poltrone

Ha scelto la linea che lo ha sempre contraddistinto Enrico Letta per uscire da palazzo Chigi. Dopo dieci mesi da presidente del Consiglio, azzoppato dal suo stesso partito, ha scelto di evitare polemiche, furori agonistici e duelli. Ieri, dopo aver evitato di presentarsi alla direzione del Pd dove Matteo Renzi, fallite le ultime mediazioni, lo aspettava per leggere il comunicato con cui lo invitava a farsi da parte, ha atteso la formalità del voto che sanciva la vittoria, scontata, del segretario, e ha dettato alle agenzie il comunicato che aveva preparato fin dalla mattina: «A seguito delle decisioni assunte oggi dalla Direzione nazionale del Partito Democratico, ho informato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, della mia volontà di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio dei ministri».

Poi, liberato da quel peso, è andato a ringraziare tutto il suo staff. E, per una sera, è tornato presto a casa.

Da oggi, e probabilmente fino alla prossima settimana, i suoi appuntamenti saranno scanditi dalle decisioni che prenderà Giorgio Napolitano. Stamani Letta presiederà il suo ultimo Consiglio dei ministri, fissato per le undici e mezza e con all’ordine del giorno alcuni provvedimenti urgenti tra cui la nomina del presidente dell’Istat, poi alle quattro salirà al Quirinale per rimettere il mandato. Ma non si sa ancora quale strada sceglierà il capo dello Stato. Letta vorrebbe evitare la verifica in Parlamento, per non costringere il suo partito a sfiduciarlo pubblicamente. Ma Napolitano potrebbe invece scegliere la strada del passaggio alle Camere. Per evitare in un momento in cui si trova sotto attacco, altri attriti con i partiti. Sia Forza Italia sia il Movimento 5 Stelle hanno infatti chiesto di «parlamentarizzare» la crisi, seguendo la via istituzionale. E il presidente della Repubblica con tutta probabilità si atterrà strettamente a quanto previsto dalla Costituzione.

A quel punto, quando avrà compiuto tutti gli adempimenti previsti, Letta si prenderà probabilmente un periodo «sabbatico». La sua linea è quella di «sparire» per un po’, sul modello di quanto fatto da Prodi quando venne fatto cadere nel 2006. Insomma eclissarsi e diventare una «riserva dello Stato», un uomo delle istituzioni.

Per questo negli ultimi due giorni sono stati inutili tutti i tentativi fatti da Renzi e dal suo entourage di convincerlo a una mediazione, a un passo indietro senza passare dalla direzione del Pd. Letta ha voluto che il segretario del suo partito mettesse nero su bianco la sua volontà di sostituirlo a palazzo Chigi. Con il preciso obiettivo di sottolineare le differenze tra i loro comportamenti: io sono un uomo che pensa al Paese, ha più volte sottolineato con i suoi collaboratori più stretti, Matteo invece vuole le poltrone. Ragionamento che ha anche fatto diventare inutile qualsiasi tentativo di coinvolgerlo nel nuovo governo a guida renziana. Ieri mattina ci hanno provato, come estremo tentativo, il capogruppo al Senato Luigi Zanda, Lorenzo Guerini e Roberto Speranza andati a palazzo Chigi. Ma il premier li ha liquidati in cinque minuti. La possibilità di coinvolgerlo in un nuovo incarico è stata solo accennata, neppure concretizzata. Enrico Letta ha fatto capire che non avrebbe accettato di ascoltare neppure un tentativo di proposta. Poi, all’ora di pranzo, ha fatto sapere che non avrebbe partecipato alla direzione del partito. Una scelta fatta per evitare che il confronto si trasformasse in una sfida cruenta. «Carissimi – ha scritto in una nota – penso che, in una giornata importante come questa, sia fondamentale che la discussione si sviluppi, e le decisioni conseguenti siano assunte, con la massima serenità e trasparenza. Per questo preferisco aspettare a Palazzo Chigi le determinazioni che verranno prese, in modo che tutti in Direzione si sentano liberi di esprimere valutazioni ed esplicitare le decisioni che ritengono opportune. Vi ringrazio, Enrico Letta».

Poi è rimasto nel suo ufficio a lavorare agli ultimi documenti da portare oggi in consiglio dei ministri, ha annullato la visita in Gran Bretagna fissata per il 25 febbraio e alle tre si è messo davanti al televisore ad ascoltare la diretta della direzione del Pd.

Alle sei del pomeriggio il voto a favore di Renzi e la nota dettata alle agenzie delle dimissioni. Poi, in serata, l’ultimo tweet: «Un grazie collettivo, ma non per questo meno sincero, per i tanti messaggi twitter ricevuti in queste ore».

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