ROMA La distribuzione delle poltrone più che il patto di programma, a turbare i sonni di Matteo Renzi. Al punto che il segretario del Pd, prima di salire domani al Quirinale per ricevere l’incarico da Giorgio Napolitano, ha chiesto per oggi ad Angelino Alfano un incontro a Roma per verificare «sino a che punto il Ncd è disposto a tirare la corda». «Se non riducono le loro pretese ci sono le urne», sostengono in coro gli uomini vicini al sindaco di Firenze. Tre ministeri per il Ncd - compreso il Viminale per Alfano - sono troppi per Renzi che intende concedere agli ex berlusconiani solo due dicasteri tra i quali non ci sarebbe il ministero degli Interni che dovrebbe andare a Dario Franceschini. Per i centristi la questione rischia di essere di vita o di morte - visto il continuo pressing dei forzisti - ma Renzi ha bisogno di dare un segno di discontinuità anche nei nomi, rispetto al governo-Letta e punta ad assegnare ad Alfano la poltrona della Difesa confermando Beatrice Lorenzin alla Salute e Maurizo Lupi alle Infrastrutture e Trasporti.
URNE
Per uscire dalla logica del Cencelli alla quale lo obbligano i partiti, Renzi ha bisogno di non dare per scontato la nascita del nuovo esecutivo ed è per questo che domani accetterà «con riserva» l’incarico di formare un governo, mentre oggi userà con Alfano toni ultimativi. Resta da vedere se la velata minaccia di un possibile ritorno alle urne in primavera o in autunno, avrà i suoi effetti anche sulla pattuglia dei partiti più piccoli che reclamano tutti, socialisti compresi, un ministero per uno.
Per uscire dall’empasse, Renzi tenta di spendere la carta Montezemolo, ma il patron della Ferrari glissa al pari dello scrittore Alessandro Baricco e dell’ad di Luxottica Andrea Guerra che ieri - separatamente - hanno incontrato Renzi a Firenze. Il nome di Montezemolo - entrato nei totoministri di quasi tutti gli ultimi governi - viene speso per lo Sviluppo Economico anche perché al ministero degli Esteri resiste Emma Bonino che, insieme a quello del ministro Enzo Moavero, restano i due nomi sui quali il Quirinale continua a spendere lodi anche per il timore di possibili riflessi che un cambio della guardia può avere sull’organizzazione del semestre italiano di presidenza europea.
POLITICHE
Obiettivo del segretario del Pd resta quello di contenere a 16-18 nomi la squadra di governo (6 in quota Renzi, 5 in quota Pd, 2 o 3 all’Ncd e uno a Udc e Scelta Civica), che invece verrebbe irrobustita di viceministri e sottosegretari in modo da affrontare gli impegni europei con maggiore scioltezza. Un nodo che resta ancora aperto è quello del ministero dell’Economia per il quale Renzi vorrebbe un politico e non più un tecnico come accaduto negli ultimi due esecutivi. L’ansia con la quale Bruxelles e Francoforte seguono l’evoluzione della crisi italiana, la dicono lunga sulle pressioni in atto affinchè via XX Settembre continui ad essere affidata ad un garante dei patti presi in Europa. Renzi continua ad essere però di diverso avviso e il nome dell’economista Lucrezia Reichlin resiste insieme a quello di Bini Smaghi e di Fabrizio Barca.
Se il segretario del Pd riuscirà ad imporre la linea del ”politico”, è probabile che sarà contornato da viceministri e sottosegretari tecnici. Allo Sviluppo Economico, altro ministero chiave per l’esecutivo del Rottamatore, potrebbe andare Franco Bernabè, mentre alla Giustizia dovrebbe finire l’attuale vicepresidente del Csm Michele Vietti. Scelta Civica dovrebbe essere rappresentata da Stefania Giannini (ministro dell’Istruzione) e da Benedetto Della Vedova (viceministro). Tra i riconfermati dovrebbe esserci anche il titolare dell’Ambiente Andrea Orlando.
Nessun problema esiste invece sul patto alla tedesca, o patto di programma, che anche Renzi vuole e che intende sottoporre ai partiti di maggioranza nel giro di consultazioni. Un accordo scritto, con tanto di date e scadenze particolarmente ravvicinate il cui rispetto verrebbe affidato non più ad un ministro per l’Attuazione del Programma, ma ad una sorta di cabina di regia che assisterà il premier a palazzo Chigi. L’allungamento dei tempi per la formazione del nuovo governo non preoccupa il sindaco di Firenze che ieri ha a lungo discusso con Delrio, Lotti e Guerini, del pacchetto di provvedimenti che intende varare nei primi trenta e sessanta giorni di governo.
LA PROSPETTIVA
Una prospettiva ravvicinata che Renzi intende imporre sia per recuperare con fatti concreti il malumore serpeggiante nell’elettorato del Pd, sia per superare lo scoglio delle elezioni Europee senza subire scossoni. Lavoro, taglio delle tasse per imprese e famiglie sono i punti del programma al quale sta lavorando il renziano Angelo Rughetti. Sullo sfondo dovrebbe andare per un po’ la riforma elettorale che verrà votata a Montecitorio per poi arenarsi al Senato in modo da dare spazio alle riforme istituzionali (Senato e Titolo V).
L’esigenza di stabilizzare la legislatura non farà però venire meno l’impegno preso da Renzi con Berlusconi di fare le riforme elettorali e istituzionali. Ieri il Cavaliere, al termine del colloquio avuto con il Capo dello Stato al Quirinale, ha ribadito la disponibilità a votare queste riforme con la maggioranza, mentre sul resto ha ribadito la linea dell’opposizione «responsabile». Musica per le orecchie del sindaco di Firenze che ieri sera ha dovuto smentire l’esistenza di una trattativa parallela con l’azzurro Denis Verdini per mettere a tacere le voci critiche che si erano levate da dentro il Pd.
MAGGIORANZE
Voci che in serata sono state tacitate dall’appoggio offerto a Renzi dall’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. Oggi la minoranza del partito renderà note le proposte di programma che dovrebbero caratterizzare «un governo di sinistra». Ciò alimenta il rischio che si aprano nuovi fronti di tensione con il Nuovo Centrodestra già in fibrillazione per la reiterata volontà di collaborazione con il governo espressa ieri da Berlusconi. Il timore che esistano di fatto due maggioranze, una per il governo e un’altra per le riforme, spingono i centristi a tenere sulla corda il segretario del Pd che però intende chiudere la composizione del governo entro le quarantott’ore successive al conferimento dell’incarico da parte del Quirinale. E’ quindi probabile che entro giovedì il nuovo governo giurerà nelle mani del Capo dello Stato e che tra venerdì e sabato ci sarà il voto di fiducia.