PESCARA I primi 2 milioni di euro sono andati in fumo con la possibilità di organizzare un campionato mondiale, un europeo e un italiano di vela nello specchio d’acqua di 107mila metri quadrati del Marina di Pescara. Gli altri 600mila euro verranno persi quest’anno, quando a causa dei fondali troppo bassi del porto turistico non potranno essere confermate competizioni sportive come la regata internazionale, l’Atletic cup e il campionato italiano di pesca. Non è solo un danno economico e d’immagine: nelle condizioni attuali, con la profondità ridotta ad appena 2 metri, una quarantina di barche è rimasta imprigionata alla banchina, senza alcuna possibilità di prendere il largo. Il Marina di Pescara, una delle strutture turistiche e ricettive più all’avanguardia della costa adriatica, rischia di chiudere i battenti prima della stagione estiva a causa del mancato dragaggio del canale d’ingresso e dei continui rimpalli di responsabilità tra gli enti pubblici competenti. Dopo le proteste dei giorni scorsi dei marinai e degli operatori commerciali per un intervento di dragaggio nella darsena commerciale e nel canale d’ingresso del porto pescherecci, costato 13 milioni di euro e di fatto già nullo, sono i diportisti a suonare il campanello d’allarme alla classe politica cittadina e a chiedere impegni certi anche per il porto turistico. «Siamo diventati il simbolo di un’Italia che si sta incartando», dice senza girarci troppo intorno Francesco Di Filippo, presidente di Assonautica Pescara, «i soldi per realizzare i lavori ci sono: sono stati erogati dalla Regione e dalla Camera di commercio. Ogni amministrazione ha le sue competenze, ma il risultato è che ognuno dovrebbe fare un poco e invece non riesce a fare nulla». Il grido d’allarme, condiviso dal direttore provinciale di Assonautica Marcello Briosi, dal presidente del club nautico di Pescara Riccardo Di Bartolomeo e dal presidente del circolo velico La Scuffia Marco Bovani, è stato lanciato ieri mattina da Di Filippo nel corso di un incontro nella sala Camplone della Camera di commercio, di fronte a decine di utenti, operatori e diportisti. «Siamo pronti ad azioni eclatanti», annunciano dalla sala, «se non ci daranno risposte, non pagheremo gli oneri condominiali alla società e, se dovesse essere necessario, porteremo tutte le imbarcazioni a vela nel porto canale». Le batimetrie, ossia le misurazioni ufficiali dei fondali del porto turistico, non lasciano spazio a dubbi. Con le prossime mareggiate primaverili, il Marina di Pescara, con i suoi mille posti barca e i suoi pontili fissi e galleggianti, tornerà a una condizione identica a quella registrata nel 2011, quando il complesso è stato chiuso per motivi di sicurezza. Attualmente la profondità non è omogenea: in alcuni punti si sfiorano i 2 metri, impedendo alle barche più grandi di compiere le manovre. Per lavorare a pieno regime e ospitare le gare nazionali e internazionali, ci sarebbero bisogno di almeno 3 metri di fondali. Ma senza un intervento di manutenzione ordinaria, il rischio è di assottigliare ulteriormente lo specchio d’acqua arrivando ad appena un metro e mezzo. «Bisogna fare presto e trovare una soluzione imminente», rimarca Di Filippo, «i numeri parlano da soli: 30 posti barca creano 1 posto di lavoro nell’indotto diretto, senza contare le ricadute indirette sul territorio cittadino e regionale. Il Marina di Pescara non è un luogo d’élite dove alcune persone appassionate di mare passano il loro tempo libero. Ci sono 85 unità impegnate, società di charter e attività economiche. La nautica da diporto è un incredibile moltiplicatore economico con la più alta capacità di produrre ricchezza tra i settori del cluster marittimo, arrivando a far girare mediamente 4 milioni e mezzo di euro».