ROMA «Forse Susanna Camusso - così ironizzano alla Fiom - aveva il telefono staccato. E allora, da Renzi a Palazzo Chigi è andato Landini». Naturalmente è una boutade. Il fatto vero è che Renzi vede Landini e non Camusso (o Bonanni e Angeletti). Per parlare - 40 minuti d’incontro - delle crisi aziendali aperte, dall’Ilva a Piombino, da Terni a Termini Imerese e alle telecomunicazioni con il caso Alcatel. Landini è un interlocutore prezioso per Renzi - e le affinità tra i due sono tante, pur nella diversità sul merito di molte questioni - mentre i niet della Cgil, i totem e i tabù del sindacato di Corso Italia al premier irritano non poco. Con Landini invece parla. E dopo i 40 minuti, così il premier ha detto ai propri collaboratori: «Su molti di questi fronti di crisi, nella differenza dei ruoli e delle posizioni, io e Landini parliamo la stessa lingua». E Renzi ha parlato con Landini non soltanto perchè l’80 per cento delle fabbriche a rischio chiusura, o appena spente come l’Alcoa, siano metalmeccaniche. E’ che l’approccio non ideologico di Landini e la sua personalità più moderna (il che non significa cedevole) rispetto ai bonzi sindacali lo rende simpatico agli occhi del presidente del consiglio. E in più, Landini rappresenta un’area politica di sinistra-sinistra che al premier fa comodo tenersi buona.
COMPAGNI
Per capire i rapporti tra i due. Quando tempo fa si sono incontrati sul treno (Landini era partito da Reggio Emilia, dove vive, e Renzi era salito a Firenze), Matteo va a trovare Maurizio in seconda classe e quello lo accoglie così, scherzosamente scambiandolo per Mao Tse Tung: «Compagno presidente!». Risposta con sorrisone: «Compagno una sega!». I due - quello che ha rottamato la vecchia politica e quello che vuole rottamare il paleo-sindacato, quello pragmatico e quell’altro pure, il premier sostenitore del contratto di lavoro unico a tutele crescenti e il sindacalista che dice che se ne può parlare mentre la Cgil non si sa che cosa vuole - ieri non hanno brindato al taglio dei distacchi sindacali. Anche se avrebbero potuto, visto che si tratta di una questione molto grave per le altre sigle ma di cui la Fiom s’infischia, forte del fatto che «i nostri sindacalisti distaccati - rispose tempo fa Landini a Renzi a precisa domanda - ce li paghiamo da soli. E non li facciamo pagare allo Stato o alle aziende». Nessun brindisi dunque, ma come evitare che l’autunno sarà caldo: ecco il tema dell’incontro. Ovvero: come salvare l’occupazione che ancora c’è. Landini mostra fame di nuovi investimenti e, soprattutto, la consapevolezza dei limiti di strumenti come lo sciopero. «Non si cambia il Paese da solo», gli ha detto Landini. E Renzi: «Lo so bene, infatti stiamo qui a parlare».
Poi, si vedrà se i due - quando tanti nodi verranno al pettine - non finiranno per litigare. Intanto Renzi vuole dimostrare che con il sindacato sa dialogare, quando c’è un sindacato che con lui vuole interloquire liberandosi da posizioni pregiudiziali, da rituali polverosi e da tutto quell’armamentario mentale («Ma perchè i sindacati sono sempre incacchiati?») a cui, secondo il premier, Landini sarebbe estraneo. Renzi ritiene Landini, che pure è un alternativo, un tipo a suo modo cool. Ma il freddo che conta è quello dell’autunno che non dev’essere caldo.