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Pescara, 15/05/2025
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Data: 03/09/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Riforma del lavoro, maggioranza divisa. Poletti in campo per una mediazione. Il governo sta mettendo a punto un emendamento sull’applicazione del nuovo contratto a tutele crescenti

ROMA Un emendamento del governo e del relatore: potrebbe essere questa la soluzione per sbloccare l’impasse del Jobs act al Senato sulla vicenda del contratto a tutele crescenti e delle modifiche alla normativa sui licenziamenti. Di certo è molto forte in queste ore l’attivismo del ministro del Welfare, Guliano Poletti. Ieri mattina ha voluto incontrare Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro al Senato (nonché relatore del provvedimento) dove da domani riprende l’iter della delega. E, in altra riunione, i componenti del Pd all’interno delle commissioni Lavoro di Palazzo Madama e Montecitorio, a cominciare dal presidente di quest’ultima Cesare Damiano. Obiettivo: dare un colpo d’acceleratore alla delega e arrivare al traguardo dell’approvazione definitiva entro fine anno, così come programmato.
LO STATUTO

Sul tavolo resta il nodo delle modifiche allo Statuto dei lavoratori e quindi anche del famoso articolo 18 sui licenziamenti individuali illegittimi. La seduta di domani non entrerà ancora nel vivo dell’argomento. Il countdown scatterà la settimana prossima ed è allora che il governo potrebbe calare sul tavolo la sua carta. «Questi giorni non sono passati invano» assicura Pietro Ichino (Sc), primo firmatario dell’emendamento condiviso da tutti i centristi che, di fatto, prevede l’abolizione della tutela della reintegrazione in azienda contro i licenziamenti illegittimi prevista dell’articolo 18 dello Statuto. Con il contratto a tempo indeterminato a protezione crescente, infatti, tutti i nuovi assunti (senza distinzione di età) nel caso di licenziamento vedrebbero riconoscersi solo un’indennità economica proporzionale all’anzianità aziendale (l’articolo 18 rimarrebbe solo nei casi di discriminazione). Una proposta formulata nell’ambito del varo di un Testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, strumento che - come spiega Sacconi - dovrebbe essere «sostitutivo dello Statuto dei Lavoratori».
LE GARANZIE

Ma dal Pd per ora da questo orecchio non ci vogliono proprio sentire. La posizione è nota: si al contratto a tutele crescenti, purché duri non più di tre anni. L’articolo 18 quindi verrebbe solo congelato. La convenienza per l’impresa a confermare l’assunzione a tempo indeterminato (dopo i tre anni di ”prova“ ) sarebbe data dal costo più basso (si pensa a sconti sull’Irap) di questa tipologia di contratto rispetto a quello a termine. «Se il governo dovesse annunciare che la riforma del lavoro si basa sui licenziamenti, sarebbe come gettare benzina sul fuoco del conflitto sociale» dice Cesare Damiano. Che continua: «Come si fa a definire ”a tempo indeterminato“ un contratto che consente di licenziare in qualunque momento con un semplice indennizzo economico? È una contraddizione in termini». Dal Pd arriva anche un altro altolà: niente interventi radicali sullo Statuto. Meno che mai la sua sostituzione con il Codice semplificato. Un altolà condiviso in pieno dalla leader della Cgil, Susanna Camusso, che rilancia chiedendo di «estendere lo Statuto dei lavoratori e le garanzie del lavoro a tutti coloro che non le hanno».
In realtà lo spazio per una mediazione c’è. In ballo ci potrebbe essere una durata un po’ più lunga del periodo di prova, oppure una diversa definizione della platea (è firmato proprio Pd, anche se non condiviso da tutti, un emendamento che prevede «il doppio binario» tra chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro e chi deve ricollocarsi). L’importante è fare presto. Senza una scossa salutare il mercato del lavoro resterà impantanato. Il decreto Poletti sui contratti a termine già varato, non è sufficiente. Tant’è che a giugno nelle grandi imprese - comunica l’Istat - l’occupazione è rimasta invariata rispetto a maggio, ma su base annua resta un calo dello 0,8%.

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