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Pescara, 14/05/2025
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Data: 29/09/2014
Testata giornalistica: La Repubblica
Licenziati e reintegrati in Europa è regola, la legge italiana non è un’anomalia. Dossier del ministero del Welfare sugli altri Paesi. Da noi pesano i tempi lunghi delle vertenze giudiziarie

ROMA. Licenziati e poi reintegrati. Accade — sempre meno — in Italia, ma anche in tanti altri paesi europei: Austria, Germania, Grecia, Irlanda, Olanda, Portogallo, Svezia e pure in Gran Bretagna, paese del common law. E il ritorno nel posto di lavoro non è del tutto escluso nemmeno in Francia, Finlandia, Spagna o Lussemburgo, in caso di licenziamento illegittimo. Insomma la reintegra, come la chiamano i giuslavoristi, «non costituisce un’anomalia tutta italiana». Così scrivono i ricercatori di “Italia Lavoro”, il braccio operativo del ministero nelle politiche attive per il lavoro, in un dossier, “La flessibilità in uscita in Europa”, che fa un’analisi comparativa dettagliata sulle regole dei licenziamenti individuali e collettivi nei paesi europei. Ne esce un quadro di tutele piuttosto estese sulla base di un principio sancito nella Carta sociale europea: i lavoratori licenziati senza valido motivo hanno diritto «ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione ».

Con il suo reintegro in versione ridotta dopo la legge Fornero (vale per i licenziamenti discriminatori e quelli camuffati da motivi economici) l’Italia è in buona compagnia nel prevedere la possibilità che un lavoratore ingiustamente licenziato possa tornare al proprio posto di lavoro. In genere spetta al giudice (anche questa non è un’anomalia italiana) decidere, ma sono previsti casi di ricorso ad un arbitro per la conciliazione (possibile
pure da noi). Ciò che distingue molto l’Italia dagli altri paesi è, piuttosto, la durata dei procedimenti giudiziari: in media intorno ai due anni contro i quattro-cinque mesi della Germania, stando ad un’indagine dell’Ocse. È questo che genera incertezza per gli imprenditori. Ed è questa la ragione principale per cui il governo Renzi ha deciso intervenire nuovamente (la legge Fornero è di soli due anni fa) sull’articolo 18 dello Statuto. Non tanto per rendere più flessibile l’uscita dal mercato del lavoro, quanto per rendere più certo il quadro per le aziende che intendano investire in Italia. Perché più che il reintegro in sé, le imprese temono l’incertezza (per i tempi e per le imprevedibili conclusioni diverse da tribunale a tribunale) che può condizionare non poco la loro operatività. La strada dell’indennizzo verso il quale ha scelto muoversi il governo diventa sotto questo profilo più prevedibile.

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