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Data: 30/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Dal collateralismo agli stracci, il crac tra sindacato e sinistra. Nel Pd l’ala sindacale è divisa: Damiano è critico, la Fedeli è andata alla Leopolda

ROMA Arriva dalla Commissione Lavoro della Camera la fotografia più nitida di quanto sia profonda la rivoluzione anti-sindacale di Matteo Renzi. La composizione della Camera, infatti, è frutto della definizione bersaniana delle liste di Pd e Sel amplificata poi dal premio di maggioranza che fu attribuito a queste due liste. Il risultato è paradossale: il Jobs Act renziano sarà approvato (forse con modifiche ma non è detto) da una Commissione Lavoro della Camera inzeppata come un uovo da ex dirigenti della Cgil.
Fra i 46 membri della Commissione 21 sono del Pd e fra questi ben 11 (fra i quali il presidente Cesare Damiano) sono stati dirigenti della Cgil. Iscritti di diritto al ”partito Cgil” (o a quello Fiom) sono altri due deputati di sinistra, Titti Di Salvo e Giorgio Airaudo, eletti in Sel (la Di Salvo nel frattempo ne è uscita). E sempre nella Commissione Lavoro ci sono altri tre ex-sindacalisti: Antonio Boccuzzi, democrat con un passato di delegato Uil (scampò al rogo della Thyssen), l’alfaniano Sergio Pizzolante anch’egli ex Uil e Renata Polverini, strenuamente favorevole all’articolo 18, approdata in Forza Italia (via egione Lazio) dalla guida dell’Ugl, il sindacato vicino al centro-destra.
«E cosa volete trovare in Commissione Lavoro degli ex primari ospedalieri? Degli esperti di sport? - si scalda subito Cesare Damiano - E’ normale che di lavoro si interessino soprattutto i deputati con un’esperienza da sindacalista». Normale almeno lo era con la precedente gestione della Ditta che, sulla base di un’antica e radicata tradizione sia della Democrazia Cristina che del Pci, aveva prenotato per il sindacato una quota di una trentina di posti in parlamento. Una riservetta di competenze (e poltrone) a disposizione non solo della Cgil. Ad esempio, all’epoca delle elezioni 2013 fece rumore la scelta del moderato Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl, che in un pomeriggio si candidò col Pd scartando l’analoga offerta della Scelta Civica di Mario Monti.
COLLATERALISMO ADDIO?
Stiamo assistendo agli ultimi scampoli di collateralismo fra politica e sindacato? Difficile dirlo. Gli scontri fra i segretari del Pd e quelli della Cgil non sono un inedito. Non è un segreto che nel 1984 Luciano Lama non digerì la decisione di Enrico Berlinguer di intraprendere la strada del referendum sulla scala mobile che fece emergere le prime crepe nella strategia del Pci. Anche fra Massimo D’Alema e Sergio Cofferati nel ’97/’98 volarono parole grosse proprio sul posto fisso. Più tardi, in un episodio ormai dimenticato di un congresso Ds, la Cgil si schierò ufficialmente con il ”correntone” di Giovanni Berlinguer contro il segretario Piero Fassino uscendone seccamente sconfitta. Lite c’è stata anche fra Pd e Uil al tempo della segreteria Veltroni che nel 2008 rifiutò di candidare al Senato l’ex segretario di quell’organizzazione Pietro Larizza determinando la nascita di un forte feeling fra la segreteria Angeletti e la corrente berlusconiana che all’epoca faceva riferimento all’ex socialista Maurizio Sacconi.
Tuttavia è opinione unanime degli addetti ai lavori che Renzi abbia lanciato nel ”flipper Italia” una pallina anti corporazioni (anche nella versione confederale com’è anche Confindustria) che oltre a sconvolgere equilibri consolidati sui contratti potrebbe far evaporare anche qualche rendita parlamentare. Nonostante il successo della manifestazione di sabato della Cgil, del resto, alla nascita di un grosso partito a sinistra del Pd renziano non crede nessuno. Senza perder tempo col caso inglese dove le Unions non si sono mai riprese dall’asfaltatura thatcheriana, in Germania si ricorda che la riforma del lavoro targata Spd determinò sì la scissione di una parte dell’ala sinistra del partito, ma poi la lista Linke (Sinistra) che ne nacque non ha mai superaton il 10%.
Forse anche per questo fra gli esponenti di spicco del ”partito Cgil” in parlamento si registrano posizioni differenti. Valeria Fedeli, ad esempio, vicepresidente Pd del Senato ed ex segretaria dei tessili Cgil, sabato scorso ha preferito andare alla Leopolda per parlare di politica industriale. Cesare Damiano, invece, ex segretario Fiom messo in minoranza nel 1996 dai padri politici di Landini, ha scelto la linea della ”trattativa a oltranza”. «Preferisco - dice - rappresentare la sinistra di un grande partito». Il che per ora significa questo: «Sul Jobs Act il governo tratti, riprendendo in particolare il passo avanti sull’articolo 18 compiuto nella direzione Pd».

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