ROMA Per le Regioni si cambia film. Basta con le sceneggiature a base di vitalizi dorati di ex consiglieri, soldi del contribuente bruciati da consiglieri in carica nell’acquisto di auto personali o sex toys, sprechi e corruzione negli appalti per le forniture sanitarie, sciopero del voto degli elettori come è accaduto in Emilia-Romagna.
Adesso si fare sul serio. Nelle forze politiche nazionali ma anche fra i politici regionali sta rapidamente un’idea che fino a poche settimane fa sembrava una bestemmia: accorpare le Regioni e ridurne le funzioni.
Il dibattito è stato aperto da un disegno di legge dei parlamentari del Pd Roberto Morassut e Raffaele Ranucci. Poi a sorpresa il presidente della Conferenza delle Regioni, nonché presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, si è detto favorevole all’accorpamento e a una ridefinizione della missione di questi istituti. Anzi, Chiamparino ha fatto di più. Ha preso carta e penna e ha scritto al premier Matteo Renzi per chiedere un incontro urgente proprio per discutere (quello che segue è letterale) «di prospettive e ruolo delle Regioni».
RAPPORTO COL TERRITORIO
Che cosa sta succedendo? «Il fatto è che le Regioni così come sono non hanno più senso - spiega uno dei collaboratori di Chiamparino che vuole restare anonimo - A partire proprio dal Piemonte dove Sergio ha trovato una spesa sanitaria fuori misura per 150 milioni ed è stato costretto suo malgrado ad alzare le tasse e a litigare col territorio per chiudere molte strutture». Stessa musica si sente sondando lo staff del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. «E’ chiaro che dopo la riforma delle Province e la nascita dele Città Metropolitane va rivisto l’intero sistema di governo del territorio - dicono a Roma - Già i fondi disponibili sono pochi se poi si riducono i fondi regionali e si fermano, di fatto, quelle provinciali, si rischia un tilt gravissimo del sistema».
Ma l’affanno delle Regioni cresce ogni giorno di più. La Lombardia ha minacciato di lasciare la Conferenza delle Regioni accusandola di non essere riuscita a ridurre accettabilmente il taglio di 4 miliardi per il 2015 infilato nella Finanziaria. L’altro giorno la Camera ha deciso di sottrarre alle Regioni la gestione del tema del lavoro e dunque dei Centri per l’impiego (gli uffici che secondo il jobs act dovrebbero aiutare i giovani a trovare un’occupazione). E c’è già chi dice che il Tesoro vorrebbe riappropriarsi degli 8,2 miliardi di euro in 7 anni assicurati dal Fondo Sociale Europeo.
Segnali che si aggiungono all’insostenibilità dei bilanci delle Regioni più piccole. Regione Umbria, ad esempio, gestisce ben 17 ospedali per appena 900 mila abitanti. Il debito sanitario dei 300.000 molisani è semplicemente irrecuperabile perché una Regione lillipuziana non può disporre di risorse adeguate. Col passare degli anni risultano evidenti le deficienze di altre mini-Regioni come la Basilicata che ha 600.000 abitanti e la Valle d’Aosta che ne conta 130.000 (dei quali uno ogni 32 lavora proprio per la Regione). Senza contare l’incredibile intreccio di privilegi e di cattiva gestione che ha caratterizzato la Regione Sicilia o il trattamento di favore nato in tutt’altro momento storico riservati al Trentino Alto Adige.
Se è evidente che le Regioni vadano accorpate e riformate, è altrettanto evidente che sono gli italiani a non potersi permettere il loro peso economico. Prima delle ultime tornate elettorali (che stanno facendo scattare riduzioni del numero dei consiglieri) secondo il rapporto Uil sui costi della politica i soli consigli regionali assorbivano la bellezza di 1.160 milioni l’anno. Con l’accorpamento questa spesa potrebbe diminuire di almeno 400 milioni.