ROMA La quadra ancora non c’è. E più che un problema con i sindacati, il nodo da sciogliere è con le stesse forze della maggioranza. Al di là delle critiche di una parte del sindacato, il decreto delegato che dovrà attuare il contratto a tutele crescenti per i neoassunti, a pochi giorni dal previsto varo in Consiglio dei ministri, continua ad avere dei punti interrogativi. Lo scontro in queste ore è sulla possibilità da concedere al datore di lavoro di chiudere qualunque contenzioso e rapporto con il dipendente licenziato, anche di fronte ad una eventuale sentenza di reintegro, con un super-indennizzo. È la cosiddetta formula dell’opting out utilizzata in alcuni Paesi europei, come la Germania o la Spagna. Le forze centriste della maggioranza, Ncd in testa, la pretendono, soprattutto se dovesse essere confermato l’orientamento di lasciare il reintegro nei licenziamenti disciplinari quando il fatto materiale non sussiste. La minoranza Pd però non ne vuole sapere.
Il braccio di ferro è in atto. I centristi sono disposti a mollare la presa solo se si stringono moltissimo le maglie del reintegro per i disciplinari (per il licenziamento per motivi economici, come è noto, la delega approvata in Parlamento ha lasciato esclusivamente il ristoro economico), limitando i casi alle accuse «infamanti», ai reati gravi. Una linea che il governo però sembra aver accantonato, mentre invece ancora ragiona sul super-indennizzo. Tant’è che sul tavolo c’è anche l’ipotesi relativa alla sua entità: 20 mensilità, da aggiungere all’indennizzo base. Il quale a sua volta partirebbe - a seconda della anzianità aziendale del lavoratore licenziato - da 3/6 mesi fino a un massimo di 24/26 mesi.
In sostanza, se questa ipotesi dovesse prevalere, un datore di lavoro potrebbe chiudere definitivamente il rapporto con un dipendente, anche di fronte a una sentenza di reintegro, con al massimo 46 mensilità. Una cifra importante, ma che in alcune situazioni di rapporti deteriorati, potrebbe rappresentare comunque una via di uscita percorribile per l’impresa.
L’ALTRA OPZIONE
In realtà allo studio ci sarebbe anche un’altra opzione: far decidere al giudice, caso per caso, se l’azienda può o meno esercitare l’opting out con il super indennizzo al posto del reintegro. Ma in questo modo non verrebbe centrato l’obiettivo del legislatore di ridurre al minimo la discrezionalità del giudice. Da notare che attualmente il lavoratore dopo una sentenza di reintegro può decidere di non tornare più in azienda dietro il pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Sembra perdere chance, invece, l’ipotesi del licenziamento per scarso rendimento. Non interessa molto nemmeno alle imprese, perché comunque foriera di contenziosi in tribunale: meglio ricorrere al licenziamento per motivi economici dove si è certi che c’è solo l’indennizzo.
Ancora non è certo, infine, se il governo riuscirà a varare nel consiglio dei ministri della vigilia di Natale anche l’altro decreto, quello che riforma l’Aspi (il sussidio di disoccupazione) estendendola ai co.co.pro. Sul provvedimento ci potrebbe essere solo un primo esame.
Intanto uno studio della Cisl rivela che i contratti a tempo indeterminato con i bonus per i neoassunti previsti nella legge di stabilità 2015 (sgravio contributivo fino a 8.060 euro per tre anni) saranno più convenienti per le imprese rispetto a quelli a termine.